Violeta

A voler usare un linguaggio moderno la si definirebbe comfort zone, ovvero quella dimensione esistenziale e di pensiero in cui ci si sente protetti, avvolti da un duraturo calore famigliare e all’interno della quale si percepisce di avere ogni cosa sotto controllo, con delicatezza.

Leggere la Allende è proprio così, sai cosa troverai nei suoi romanzi, hai certezza del suo lineare fluire e del suo mai sterile divagare, sai che il narrato non tradirà le aspettative immaginifiche né mancherà dei dettagli storici, e non puoi certo dubitare che il senso di rassicurazione che proverai una volta conclusa la lettura sarà totale.

Violeta non è un’eccezione, ha tutti i crismi “Allendiani” del caso, che ti fanno essere felice di avere anche questo suo ultimo libro nella tua casa.
Leggere la Allende è proprio così, da tutta una vita.

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L’ultima intervista

Scrivere racconti fingendo che siano interviste è un esercizio non semplice.
Comporre un intero romanzo fingendo che sia un’intervista è compito ancor più complesso.
Orchestrare un’opera omnia millimetricamente perfetta in cui i racconti si insinuano nel romanzo attraverso le domande di inesistenti intervistatori è impresa che ben pochi autori sono in grado di compiere.

Ne L’ultima intervista, però, ciò che stupisce è altro.
Il subdolo depistaggio che Eshkol Nevo attua ai danni del lettore per costringerlo ad invertire continuamente le traiettorie emotive tratteggiate dalla sua prosa.
L’inganno con cui Eshkol Nevo invita il lettore a credere che il testo sia sincero nel suo essere immaginariamente autobiografico.
Il candore disarmante con cui Eshkol Nevo rivela di sé implicazioni nefaste e miseri vantaggi dell’essere scrittore.

Il lettore è senza via scampo, risucchiato in un vortice di fantasie che potrebbero essere reali, senza la minima possibilità di sapere se e dove ne L’ultima intervista si possa scorgere un seppur flebile barlume di verità.
Chapeau.

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