L’ultima intervista

Scrivere racconti fingendo che siano interviste è un esercizio non semplice.
Comporre un intero romanzo fingendo che sia un’intervista è compito ancor più complesso.
Orchestrare un’opera omnia millimetricamente perfetta in cui i racconti si insinuano nel romanzo attraverso le domande di inesistenti intervistatori è impresa che ben pochi autori sono in grado di compiere.

Ne L’ultima intervista, però, ciò che stupisce è altro.
Il subdolo depistaggio che Eshkol Nevo attua ai danni del lettore per costringerlo ad invertire continuamente le traiettorie emotive tratteggiate dalla sua prosa.
L’inganno con cui Eshkol Nevo invita il lettore a credere che il testo sia sincero nel suo essere immaginariamente autobiografico.
Il candore disarmante con cui Eshkol Nevo rivela di sé implicazioni nefaste e miseri vantaggi dell’essere scrittore.

Il lettore è senza via scampo, risucchiato in un vortice di fantasie che potrebbero essere reali, senza la minima possibilità di sapere se e dove ne L’ultima intervista si possa scorgere un seppur flebile barlume di verità.
Chapeau.

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