Lascio sfilare le persone dietro di me fingendo di dover controllare le scartoffie che stringo fra le mani. Sono in coda allo sportello della banca e non riesco ad avanzare.
Mi ha preso un’angoscia opprimente, proprio oggi che è la giornata in cui dovrei ricominciare a respirare, proprio oggi che posso permettermi di alzare lo sguardo per vedere l’orizzonte. Sento il bisogno, mai provato prima, di fermarmi. Io che sono sempre di corsa, che devo occuparmi di tutto e non mi soffermo su niente, io che vivo di fretta per paura che il tempo mi freghi.
Cosa ci faccio qui? Ho sette persone davanti e nessuno dietro di me, devo allontanare quest’inquietudine prima che arrivi il mio turno.
Il mio nome è Ennio che vuol dire predestinato. Per tutta la vita ho pensato di poter trovare, un giorno qualsiasi, dietro l’angolo di casa, un futuro radioso, un destino da Re. E invece sono qui che trascino le mie giornate in un’estenuante corsa per la sopravvivenza. Trenatnove gli anni che ho già compiuto, da otto a capo di una piccola azienda di laterizi che si barcamena dal giorno in cui è nata. Lavoro incessantemente, l’impegno per me è essenza. Mia moglie, Ramona, è commessa in un supermercato di quartiere e due splendide gemelle, A e B come mi diverto a chiamarle io, sono il frutto del nostro amore, di quel che è stato o di quel che è rimasto.
Oggi sono qui per estinguere il mio debito con la banca. Oggi, finalmente, giro pagina.
Otto anni di conti in rosso e di notti in bianco mi hanno rubato la serenità. Otto anni di lavoro frenetico mi hanno privato del sonno, del tempo per le bambine, dello spazio mio e di Ramona. Volevo solo tenermela stretta, volevo che fossimo uniti e invece siamo distanti, distratti, monadi isolate che vivono sotto lo stesso tetto. Ha ragione Ramona, la colpa è in gran parte mia, sempre avvolto nelle mie ansie, sempre strangolato dalle mie preoccupazioni, sempre con quella paura incontrollabile di perdere tutto: la stabilità, il frutto del mio lavoro, la sicurezza economica.
Non voglio una vita così. Voglio essere felice perché la felicità è un diritto. E’ questo che dirò a Ramona stasera: abbiamo il diritto di essere felici. Insieme.
E’ arrivato il mio turno, guardo in faccia chi ho davanti e non so cosa dire. C’è Costante alla cassa, ha uno strano aspetto oggi, un sorriso impalpabile che non gli ho mai visto prima. Gli allungo le carte, mi guarda con una trasparenza che mi trafigge. Ce ne stiamo così, imbambolati come due cretini che hanno il vento al posto dei pensieri e un miraggio annidato nel cuore.
E’ una pioggia maledetta quella che scroscia incessantemente da tre giorni. Grigia, ruvida, ghiacciata. Costante nemmeno se n’è accorto di questo inverno tardivo, sul suo viso è già sbocciata la speranza, quella luminosa, che ha i colori della primavera.
Allora lo saluto, alzo lo sguardo fiero verso l’orizzonte e vado incontro alla mia felicità.
(…)