Non c’è un angolo di verde nel cuore di Firenze. E nemmeno una fontana con l’acqua zampillante.
Pietro ha le gambe intorpidite dall’immobilità e le dita annerite dai carboncini. Vorrebbe, di tanto in tanto, trovare un ritaglio di giardino per stendersi e guardare il cielo e un po’ di acqua fresca per sciacquarsi le mani.
Pietro non è più un ragazzo, i quaranta li ha passati abbondantemente. Ha il viso segnato da rughe profonde, quelle scavate dai raggi del sole riflessi dai pavet e dagli acciottolati delle strade. Ha il corpo curvo di chi è abituato a stare chino per ore.
Nelle mani matite e pennelli, negli occhi altri occhi.
Trascorre le stagioni calde nelle piazze d’arte a tratteggiare caricature di turisti stanchi e a ritrarre visi di ogni età. Ha dipinto migliaia di volti nella sua vita di pittore errabondo, gente di ogni razza e di ogni parte della terra. Visi sorridenti e visi preoccupati, facce limpide e facce ingannevoli. Ha indagato sguardi per tutta la vita. A uno come Pietro non si può mentire.
Ogni volta che torna a Firenze pensa che basterebbe poco per sentirsi a casa, un giardino e una fontana sono tutto quel che cerca. Perché lui una casa vera non ce l’ha. La sua casa sono le piazze, i fiumi, i viottoli, i cieli che si aprono sulle bellezze storiche d’Italia. Ha vissuto lungo il Tevere e sul Canal Grande, ha attraversato la penisola decine di volte col poco armamentario che si porta dietro. Ha piantato esili radici in ogni luogo, non sufficienti da decidere di rimanere, ma nemmeno così scarne da scegliere di non tornare più.
Durante gli inverni trova sempre un rifugio. A volte sono le donne ad ospitarlo, altre volte artisti come lui, più di rado l’anziano padre che ogni volta lo accoglie scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
In questa Firenze dominata dalle chiese, dai musei e dalle statue, Pietro dipingerà i volti dei turisti di primavera, dei giapponesi onnipresenti, dei ragazzini francesi in gita scolastica, delle combriccole spagnole sempre allegre e rumorose. E non si stancherà di farlo, nemmeno quando il sole sarà cocente, quando la mano farà male o quando non ci sarà nessuno a sedersi nella seggiolina traballante di fronte a lui.
Dipingerà solo per se stesso perché la tela, gli acquarelli e i carboncini sono il senso della sua vita.
In questa Firenze inebriata d’arte e di poesia, Pietro rimarrà fin quando sentirà che sarà l’ora di andarsene. Potrebbe essere giugno o settembre. Potrebbe essere domani o mai più.