Alla teoria della reincarnazione Anna non ha mai creduto. Non prova la sensazione di aver abitato corpi diversi in epoche remote e dubita che altre dimensioni la attendano dopo la morte. E’ più che altro un desiderio di trasmigrazione quello che prova Anna, la tangibile e assurda fantasticheria di trasformarsi in un felino, in un bel gatto elegante dalla coda lunga e dritta che cammina con sufficienza sotto i mobili di casa. Un classico micio domestico, a pelo corto e morbido, uno di quei trovatelli che la gente raccoglie lungo i fossi dopo averne captato l’insistente miagolio.
Dei gatti Anna invidia tutto: la pelliccia che regola la temperatura, le vibrisse nervose, i cuscinetti sotto le zampe, le orecchie a punta che hanno il potere di parlare.
Perché se Anna avesse la pelliccia, non avrebbe bisogno di avvolgersi in abbondanti strati di lana grezza ogni volta che il freddo umido dei pensieri negativi la attraversa con ferocia.
Se possedesse lunghi baffi recettori, potrebbe intercettare gli attacchi violenti della sua stessa emotività, riuscirebbe a schivarli e si risparmierebbe quelle interminabili giornate d’angoscia che ormai non tollera più.
Se in qualche parte del corpo Anna fosse dotata di soffici cuscinetti attutenti, eviterebbe di farsi male ogni volta che qualcuno le manca di rispetto trattandola senza riguardo.
E quelle splendide orecchie di cartilagine, Anna le userebbe al posto delle parole, che basterebbe un cenno in su o in giù per far capire a chi le sta intorno quando non è il caso di bussare, quando è ora di farle posto sulla poltrona, quando ha voglia di sonnecchiare sul divano con una mano snodata che le solletica il mento.
Ma quel che Anna invidia più di tutto è l’indipendenza connaturata nei gatti, il loro essere liberi da legami e condizionamenti, la capacità inumana di farsi scivolare addosso ogni cosa, dimenticare tutto, vivere solo l’immediato ed infischiarsene delle conseguenze.
Se Anna fosse un gatto, non avrebbe bisogno di difendersi.