Appartamento 401

È descritto come un noir, Appartamento 401 di Yoshida Shūichi.
Nella sinossi vengono evocati crimini, aggressioni, violenze aberranti, che poi nel romanzo non sono narrate come tali e rimangono sullo sfondo di altre storie che si intrecciano.

Del thriller non ha nulla, Appartamento 401: non la tensione che cresce, non la curiosità di scovare il colpevole, non i dettagli raccapriccianti.
Del classico racconto giapponese, invece, Appartamento 401 ha tutto: la mancanza degli estremi emotivi, la presenza del ragionamento lineare, le riflessioni intime e permeate da una logica di fondo che ne cerca costantemente la coerenza.

Appartamento 401 non ha niente di più, né niente di meno di tanti altri romanzi scritti così.

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Se mi guardo da fuori

Ha la passione per le descrizioni dei volti, Teresa Righetti.
Non c’è personaggio di
Se mi guardo da fuori di cui non conosciamo l’esatta fisionomia: la forma degli occhi, gli angoli della bocca, l’incurvatura del naso.
E
pure per gli abiti, sappiamo sempre cosa indossano tutti, in ogni minimo particolare, dai maglioni oversize alle scarpe, dalle camicie fresche di lavanderia agli stivali, dai pantaloni di lino ai cappotti di lana.

Introspettivo, chiuso sulla protagonista, ripetitivo nel suo girare a vuoto.
L’insicurezza
della protagonista, Serena, regna sovrana e permea l’atmosfera.
Se questo era l’intento:
ammantare di insicurezza ogni dove e ogni perché, è di certo riuscito. Se invece si voleva dar conto di cosa c’è dietro a questo tipo di disagio, allora no, il libro si ferma prima.
Lo stile frammentato, poi, qui non è cifra stilistica. Sarà di certo musica moderna per orecchie più giovani delle mie.

Così, fino al penultimo capitolo.
Poi arriva l’ultimo, che è sorprendentemente sentito, scorrevole, viscerale e che in parte salva il romanzo, anche se fuori tempo.

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