E dopo i romanzi visionari, i commissari solitari, le letture poco convincenti e quelle dissacranti, ho scelto di chiudere la mia biblioteca del 2013 con un esemplare perfetto di narrativa classica ed eterna: La figlia della fortuna di Isabel Allende.
Scegliere Isabel vuol dire non rischiare, significa sapere in partenza che si avrà per le mani un buon libro, che ci si immergerà in una storia trascinante e che le parole non deluderanno.
Scritto nel 1999, ambientato nella prima metà del 1800, questo libro poderoso ha tutti i tratti del romanzo storico epocale. La corsa all’oro è al centro della trama, il Cile e la California le ambientazioni in cui prendono vita le drammatiche esistenze dei personaggi, orde di popolazioni innocenti condannate ad una quotidiana realtà di schiavitù, miseria e violenza.
Eliza, bambina cilena abbandonata in una scatola di latta e cresciuta in un’agiata famiglia inglese, e Tao Chi’en, giovane medico cinese che per sopravvivere deve farsi schiavo, incroceranno i loro destini e le loro anime nel bel mezzo dell’oceano pacifico. Attraverseranno lunghi periodi di dolore e disperazione, anni di privazioni ed intemperie, usciranno ed entreranno dentro le loro stesse vite come fantasmi vaganti dentro a sogni infiniti.
E’ un libro sulla ricerca della libertà e sul senso profondo dell’amore.
Un romanzo impregnato di rispetto per la vita.
Pianse copiosamente le perdite taciute nel corso della sua vita, i momenti di rabbia nascosti per buona educazione, per i segreti che le gravavano addosso come ceppi di un prigioniero e per l’ardente gioventù buttata al vento semplicemente a causa della cattiva sorte di essere nata donna.