
Non ci avrei scommesso un centesimo sul mio innamoramento letterario per Philip Roth.
L’innata resistenza alla letteratura americana, i tentativi fatti con altri autori e quasi tutti falliti e quel pregiudizio a lungo maturato che fa desistere di fronte all’impulso di provarci ancora mi avevano sconfortata nel corso degli anni. Per fortuna la tenacia ha vinto, la scintilla è scoccata ed è diventata fuoco crescente nel leggere la Trilogia di Zuckerman dove la letteratura è al centro di ogni cosa, gli ebrei d’America le ruotano intorno e a permeare la scena c’è l’ardore. Un ardore che diventa rabbia, sconforto, autocommiserazione e che si fa dissoluzione, esaltazione e furore nelle fasi alterne della vita di Nathan Zuckerman, lo scrittore protagonista, per cui il successo è frivolo e le sconfitte sono macigni.