
Ho sempre pensato che le forme artistiche di espressione, per essere compiute, debbano saper coniugare l’improvvisazione al metodo, l’ispirazione momentanea alla costanza, la parte impulsiva ed esplosiva dell’inventiva con quella metodica e certosina della rifinitura. Credevo di essere isolata in questo mio pensiero, anche perché, nell’immaginario collettivo, chi dipinge, compone o scrive è quasi sempre un creativo sregolato che, in barba alle regole e alle necessità della vita reale, trascorre il suo tempo davanti ad un cavalletto, seduto al pianoforte o impegnato a rigirarsi fra le mani una matita spuntata ed un quaderno a righe orizzontali. Senza pensare al resto del mondo.
Poi ho letto “L’arte di correre” di Haruki Murakami e ho capito di non essere così isolata nelle mie riflessioni.
Dice Murakami: “Scrivere un romanzo, fondamentalmente, è una sfacchinata. In sé, l’atto di redigere delle frasi è forse uno sforzo mentale. Ma scrivere fino in fondo un libro intero è qualcosa che si avvicina alla fatica fisica.”
E’ tutta una questione di allenamento perché, se per correre una maratona serve un’enorme forza fisica, per scrivere un romanzo ne serve quasi altrettanta.
Per una novella runner che al quinto km di corsa cappotta stremata con la lingua penzoloni come se avesse corso da Maratona ad Atene e che si sente una scrittrice solo fra virgolette, ipotetica e provvisoria, questo libro è una grande rivelazione ed una valida fonte di insegnamento.
Murakami è uno scrittore prolifico ed un atleta d’eccezione: corre una maratona all’anno e pubblica magnifici romanzi tradotti in tutto il mondo vendendone milioni di copie. “L’arte di correre” è una raccolta di memorie in cui il legame indissolubile fra corsa e scrittura è descritto in modo così razionale e convincente che quando si gira l’ultima pagina, si è profondamente persuasi di quanto sia naturale che chi scrive debba anche correre.
Perché correre è fatica. Perché scrivere è fatica. Perché correre fortifica. Perché per scrivere serve forza.
E un corpo non allenato, una mente non allenata, uno stile di vita indisciplinato, non sono in grado di garantire risultati duraturi e convincenti, nella corsa come nella scrittura. Mentre corri la mente è impegnata a non pensare alla fatica che il corpo sta facendo, cerca qualsiasi pensiero alternativo pur di non badare al fiato che manca, al dolore che si prova nelle gambe, a quell’impulso istintivo e incontenibile di fermarsi. Correre, quindi, non è solo uno sforzo fisico, ma è anche uno sforzo mentale straordinario. Scrivere è la stessa cosa. Perché se è pur vero che l’ispirazione arriva di getto e ti sveglia alle tre di notte con l’impellente bisogno di tradurre in parole le idee ed i pensieri -ed è questa la parte artistica- è altrettanto vero che la cura maggiore va dedicata a quella parte faticosa della scrittura, che artistica non è. Quella in cui è necessario ragionare, quella del lavoro di ricerca, di incastro, di dettaglio, della coerenza logica di ogni tassello del romanzo. Quella della fatica.
Per scrivere un romanzo serve un certo grado di talento, ma anche molta costanza, perseveranza, forza di volontà. E’ pur vero, come ammette lo stesso Murakami, che ci sono persone talmente talentuose capaci di scrivere opere ammirevoli ed eterne senza alcun tipo di sforzo. Beati loro! Chi non possiede un talento così geniale, ma pensa di avere comunque buone capacità narrative, dovrà faticare molto e se lo farà con la stessa forza che ci mette nella corsa, otterrà risultati soddisfacenti.
Lo scrittore che corre è un individuo metodico, ordinato, dotato di una grande forza di autocontrollo, capace di imporre fatica e disciplina al proprio corpo e alla propria mente. Un essere così configurato non è di certo un animale sociale. La corsa e la scrittura sono due attività individuali e solitarie che richiedono introversione e quiete.
E infatti, le ore più belle dedicate alla scrittura sono quelle del primo mattino, quando in casa c’è silenzio, la luce entra delicatamente dalle finestre, la mente è libera e sciolta. Anche se intorno c’è un mondo intero, lo scrittore sta bene quando, isolandosi, può mettere alla prova la propria forza. Lo scrittore sta bene quando è solo con le proprie parole.