A grandezza naturale

Essere padre, nascere figlio, scoprirsi figlia, anche quando non si vuole esserlo, anche quando lo si diventa o ce lo si nega.

Colpe ereditate, ribellioni che non si consumano, distanze identitarie, vergogne inscalfibili, rifiuti, attese, negazioni e salvezze nelle otto storie (più un fatto di cronaca) che compongono A grandezza naturale.

Con l’arte figurativa che fa da sfondo e diventa sostanza, oltre che paradigma, ogni frase è una sentenza, ogni pagina una lingua che Erri reinventa e che pian piano si fa musica, nel suo ritmato incedere.

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La doppia vita dei numeri

Un capodanno napoletano.
Fratello e sorella seduti a un tavolo.
Di indole opposta, diversi per carattere.
I festeggiamenti intorno.
Un giro di tombola.
Nulla in realtà succede.
Se non che arrivano, da un mare lontanissimo, mamma e papà che a questo mondo non ci stanno più.
E pure loro si siedono al tavolo.
E pure loro giocano.
I numeri aprono le danze, svegliano la memoria, fanno dilagare la nostalgia.
È un copione di scena, La doppia vita dei numeri.

È un costruttore di linguaggi, Erri De Luca.

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Anni di rame

Non è un romanzo, ma un’apologia scritta con la precisione che solo i ragionamenti completi possono avere.
Non è un racconto, ma una celebrazione di principi saldi, endemici, radicati in un uomo e in una certa generazione.
È la narrazione sinottica di un’esistenza intera che nel caso specifico si fa paradigma.
È la padronanza del linguaggio di Erri che non smette mai di stupire.

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Impossibile

Libertà nella reclusione e moralità nell’inganno.
Legalità e verità sembrano strade contrapposte.
Giusto e sbagliato sono punti di vista nell’immedesimazione.

Queste le parole che ho appuntato nella mente mentre leggevo Impossibile e subito dopo rileggevo Il giorno della civetta.
Erri che evoca Sciascia induce inevitabilmente a leggere ancora, a tanti anni di distanza dalla prima volta, il suo “racconto”, con animo diverso, che rivisita il passato, attualizzandolo, che giudica i fatti dalla distanza del presente. Continua a leggere

Feste con gli amici 2

Mi aspettavano da tempo, scrupolosamente selezionati fra le letture di cui godere nei giorni di riposo, nel solito angolo della libreria, quello che non si può toccare finché non arriva il momento giusto.
Due commissari ed un maestro.
Bordelli, che nell’indagare efferati delitti ci ha messo, ancora una volta, la sua anima romantica.
Ferraro, che affronta i crimini di sangue e la vita con mirabile disincanto.
Ed Erri, che ha sempre qualcosa da insegnarmi, anche quando mi sembra di aver già visto e già sentito e poi scopro che non è così.
Uno di loro dice:

“Sentivo i suoi pensieri e rispondevo, ma lui non poteva sentire i miei.
Coi pensieri degli altri non si può parlare, sono sordi.”
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Il più e il meno nel mestiere dello scrittore

 

 

 

 

 

 

 

In comune hanno niente.
Antipodi di scrittura, umanità distanti, cervello e ventre.
Uno rigoroso nel descrivere l’impossibile, l’altro viscerale nel raccontare la realtà.

Il mestiere dello scrittore è così simile a L’arte di correre che fa quasi innervosire: i cassetti mentali da cui attingere ricordi, l’esercizio costante senza cui il talento è destinato a svanire, il prendersi cura del corpo per avere la mente libera e pronta per raccontare, il disinteresse per i premi letterari, tema specioso, in verità.

Il più e il meno è una miscellanea di spezzoni già echeggiati, di evidenze già vissute, di temi che ritornano senza invecchiare, di introspezioni gelide che hanno dentro il fuoco. Continua a leggere

I pesci non chiudono gli occhi

 I pesci di Erri

Fra i mille talenti che di Erri ammiro c’è la memoria, poter ricordare puntualmente senza ricorrere alla rivisitazione degli eventi. La cura dei particolari, soprattutto quelli emotivi, emerge naturalmente nel suo narrare.

E’ un’abilità che anch’io vorrei, a Erri la invidio.

Il dettaglio spontaneo dei sentimenti, la presenza vivida delle sensazioni, così intatte e precise, sono un dono particolare, una fortuna che io non ho. O le catturo all’istante, scrivendone forsennatamente, o le perdo per strada e di loro mi rimane solo l’alone.
Scrivere serve anche a ricordare, che lo si faccia nell’immediatezza o dopo decenni. Continua a leggere

Il contrario di uno su un treno per Lisbona

Il contrario di uno

Credo alle coincidenze, agli incroci accidentali di avvenimenti, ai fatti che capitano per caso e che, solo legandosi insieme, trovano il loro significato.

I fili che si intrecciano nella mia coincidenza di questi giorni sono tanti: due date partigiane, un libro, un invito su un treno, un film. Tutto in pochi giorni, tutto legato, tutto coincidente.

E’ quasi una storia, con un prologo, uno lasso temporale, un seguito, un finale.

Il prologo è un post di un amico di blog pubblicato il 27 febbraio, giorno della Liberazione del mio paese, l’unico comune italiano che ancora commemora con una giornata di festa cittadina il ricordo della propria battaglia partigiana lasciando in eredità alle giovani generazioni il significato del sacrificio della propria Resistenza. In quella data per me così importante, l’amico di blog invitava metaforicamente gli appassionati di Erri de Luca a salire su un treno per leggere i suoi libri. Reduce dalla illuminante lettura di Non ora non qui, accettai di buon grado l’invito simbolico, chiedendo consiglio su un titolo. La risposta fu: Il contrario di uno.

Il lasso temporale è quello che dal 27 febbraio arriva a questi giorni. Non avendo tempo di passare in libreria per comprare Il contrario di uno, ho lasciato scorrere le settimane, poi, stanca di non averlo, l’ho ordinato sul web. L’ho ricevuto pochi giorni fa e appena me lo sono ritrovata fra le mani mi sono ricordata che dovevo leggerlo su un treno immaginario. Così ho fatto, seduta nel vagone di Erri, mi sono immersa nei suoi racconti di ricerca esistenziale, di lotta politica e di libertà, scritti con la peculiare prosa, intima ed essenziale, di chi è capace di cesellare frasi conferendo un nuovo significato alle parole.

Il seguito è di due sere fa quando, in cerca di un buon film, capito per caso su Il treno di notte per Lisbona dove il protagonista Raimond, un professore svizzero di lingue antiche, salva dal suicidio la nipote del boia di Lisbona Rui Luis Mendes, torturatore di giovani resistenti ai tempi del regime di Salazar. Nel soprabito della ragazza il professore trova un libro scritto nel 1975 da Amadeu Prado, membro della resistenza portoghese che perse la vita opponendosi al regime dittatoriale. Nel libro c’è un biglietto di un treno, partenza Berna, destinazione Lisbona. Non ci pensa due volte Raimond, vuole conoscere la storia di quel libro, vuole sapere di più sulla rivoluzione dei garofani. Sale sul treno e, mentre dal finestrino l’Europa occidentale gli scorre accanto, si immerge nella lettura di Um ourives das palavras – L’orafo delle parole. Sobbalzo e penso subito ad Erri, il cesellatore di frasi, l’orafo del linguaggio più abile che abbia mai letto. D’ora in poi lo chiamerò così, Erri l’orafo delle parole.

Il finale è l’alba di stamane quando ho girato l’ultima pagina de Il contrario di uno. Stamane, 25 aprile, giorno della Liberazione, commemorazione della Resistenza, festa dell’Italia libera.

Due date partigiane, un libro, un invito su un treno, un film: i miei fili intrecciati e coincidenti che interpretano e rinnovano il significato della Libertà.

 

http://orearovescio.wordpress.com/2014/02/27/a-proposito-di-erri/

 

 

Non ora, non qui

Non ora, non qui

E poi vado in una libreria che sta chiudendo, che sconta i libri indistintamente e non riesco a fare incetta di titoli perché mi sembra irrispettoso girare fra gli scaffali semivuoti e comprare a caso.

Una copertina di arida terra scarlatta attrae la mia attenzione, è il mio unico acquisto. Erri De Luca lo lambisco da anni, sempre a un passo dal leggerlo, sempre qualche impedimento casuale mi ha tenuta distante.

E così, facendo mia la desolazione di una libreria che sta scomparendo, fra gli sguardi pensosi dei clienti e quelli affranti dei commessi, mi convinco che sia arrivato il momento giusto per Non ora, non qui, che questa opera prima autobiografica scritta da De Luca nel 1989 sia il punto perfetto da cui partire in un pomeriggio malinconico di libri che abbandonano e di pagine che se ne vanno.

Ne avevo sentito parlare come di un autore difficile, di una lettura ardita e complessa, di qualcosa di ostico e, per molti, respingente. Ma la scrittura, quando ha qualcosa di rilevante da dire, non c’è artificio linguistico che la trattenga.

Quando ne parlerò io di Erri De Luca, se qualcuno mi chiederà, dirò che con grande meraviglia ho incontrato un’espressività rivoluzionaria all’interno di una lingua italiana destrutturata, che ho riconosciuto la capacità assoluta di condensare in brevi e frammentate frasi un’infanzia intera, la grandezza di un’autoanalisi profonda, lucida e disarmante.

Dopo aver letto Oceano mare, vent’anni fa, non ho più incontrato scrittori che, come Alessandro Baricco, mi facessero credere che è possibile sconvolgere la lingua italiana al punto tale da renderla nuova. Poi, il 7 gennaio del 2014, ho preso fra le mani una copertina di arida terra scarlatta da uno scaffale semivuoto di una libreria a cui ero affezionata e ho avuto la fortuna di cogliere il momento giusto per capire che in De Luca, nel suo spirito di lotta e di combattente dalle armi deposte, alberga in modo fecondo la rarissima capacità di innovare.