1q84

1q84

Mi si è sfaldato fra le dita mentre lo leggevo. Così, per qualche giorno, ho girato per casa con brandelli di 1q84 fra le mani, piccoli fascicoli di un libro dalla doppia realtà che ho letto con una curiosità infantile, come una favola planetaria capace di catturare anche le menti più logiche e razionali.

Di Murakami visionario ho già scritto in altre recensioni. Il Murakami di 1q84 è qualcosa in più: un talento creativo puro, un maestro di miraggi e di mondi immaginari.

La trama non è raccontabile, se la descrivessi sono certa che la impoverirei.

I personaggi hanno nomi sognanti e musicali – Fukaeri, Tengo, Aomame – e personalità introverse ed impenetrabili. L’ambientazione è concreta e al contempo irreale. Lo stile narrativo è pulito, volutamente ripetitivo, una sorta di lungo e rassicurante percorso di pianura.

1q84 non è un’esperienza tumultuosa come un tuffo fra le onde, né faticosa come una scalata alpina. E’ un’impresa grandiosa che Murakami fa sembrare semplice come una passeggiata in campagna.

Imperdibile.

 

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La briscola in cinque

In copertina c’è un dipinto di Jack Vettriano dal titolo Sweet Bird of Youth. E’ un’immagine nostalgica dai colori caldi e vagamente malinconici. Raffigura una donna turbata, affascinante, smarrita, o almeno io la vedo così. In questo inquieto ritratto di donna, Marco Malvaldi deve averci visto Alina, la giovane vittima de La briscola in cinque, il primo dei suoi tanti romanzi gialli.

Ad essere sincera è proprio la copertina la cosa che più mi è piaciuta di questo libro. So di essere controcorrente, perché i gialli della serie del BarLume sono apprezzatissimi dai lettori, ma da appassionata (e frustrata) giocatrice di carte mi aspettavo qualcosa di diverso. Immaginavo un intrigo complesso, un mistero annodato attorno ad un tavolo da gioco, una sorta di versione nostrana di Carte in tavola, il famoso noir di Agatha Christie in cui l’infallibile Hercule Poirot riesce a smascherare il colpevole di un omicidio analizzando le mosse di una partita di bridge.

Nella briscola in cinque, invece, la partita a carte non ha alcun ruolo nella trama. Il caso è semplice e i personaggi che ruotano attorno all’omicidio di Alina sono talmente pochi che è piuttosto facile risalire al colpevole. L’andamento è lineare, senza colpi di scena, senza scossoni. Prevedibile.
Il linguaggio, poi, è asciutto, diretto, a tratti volgare. Colpa del gergo livornese che letto su carta non è così scanzonato e beffardo quanto quello parlato.

Insomma, ancora una volta attratta da una copertina, ancora una volta sviata da un titolo.
La briscola in cinque

Lewis sotto la pioggia

A guardare Lewis Hamilton che guida sotto la pioggia di Spa mi viene in mente Ayrton Senna che vola sul bagnato. E’ un pensiero che vorrei scacciare perché Senna lo adoravo mentre Hamilton non mi è mai stato simpatico.

Se fossi un’appassionata di Formula 1 imparziale ed oggettiva ammetterei che Lewis è un genio della pioggia, uno dei pochi piloti che rendono al massimo quando le condizioni dell’asfalto sono proibitive. Non è che nutra una particolare avversione per questo giovane pilota già campione del mondo, è che i talenti sprecati mi fanno sempre arrabbiare. E Lewis, oltre che un mago della pioggia, è anche un mago del talento dissolto fra mille colpi di testa.

Ma bisogna dire la verità: a prescindere dalla vettura, dalle condizioni del team e da quelle del circuito, Hamilton è il pilota che più di tutti ha addosso la velocità. E’ spericolato, azzardato, incosciente, sanguigno. L’esatto contrario di quello che ti aspetteresti da un inglese. E’ uno che per colpa di tante mattane ha perso decine di occasioni importanti. Ci sono piloti molto meno talentuosi di lui che hanno vinto di più, semplicemente perché ragionano.

Io preferisco i piloti saggi, gli Iceman Kimi, gli Alonso, i Button, quelli che sono capaci di coniugare irruenza e logica, strategia e precisione, istinto e raziocinio. Quelli che rinunciano all’azzardo eccessivo per potersi portare a casa due punti in più, magari proprio quei due punti che alla fine del mondiale fanno la differenza.
Quelli che ad essere veloci ci arrivano col cervello, non con il sangue.

E la ragione ed il sangue, si sa, insieme non ci vogliono stare.

Oggi, sul circuito di Spa – Francorchamps nel cuore della Vallonia, Lewis ha inanellato la quarta pole consecutiva dando a tutti una lezione di guida sotto la pioggia. Tanto di cappello.

Però…

Però, adesso che ci penso, ad essere veramente imparziale ed oggettiva, ad essere veramente onesta e neutrale, di piloti che hanno saputo coniugare il sangue e la ragione uno c’è stato.

Si, uno c’è stato: Ayrton, the only one.

Hamilton

Storia di Salvo, dignità e rispetto

Ha vent’anni anni ed un viso pulito. Il torace stretto, gli occhi neri, la pelle color del legno. Si chiama Salvo e il suo sogno è aiutare chi soffre. E’ iscritto alla facoltà di Medicina di Cagliari perché da grande vuole fare il medico.

Quando era bambino percorreva la costa dell’oristanese insieme al padre, un ometto robusto e di poche parole, di mestiere pastore. Insieme offrivano forme di pecorino ai bagnanti, quei pochi forestieri che animavano le spiagge del Sinis. Gli trotterellava dietro sfoderando un sorriso furbetto e sdentato, capace di intenerire chiunque.

Ora Salvo per le spiagge ci gira da solo, lo si vede spesso a Sa mesa longa offrire formaggio sottovuoto a prezzi convenienti. Colpisce il suo essere silenzioso e discreto, la mancanza di insistenza, la dedizione con cui si dà da fare per aiutare il bilancio famigliare. Dignità e rispetto.

Mi dice che quando sarà medico avrà raggiunto tutti gli scopi della sua vita: potrà fare del bene al prossimo e la sua famiglia non sarà più costretta a vivere di pastorizia. Mi dice che la sua terra, che ama visceralmente, è di agricoltura che campa, ma lui vorrebbe qualcosa in più, anche per la sua gente.

Mi dice che ci vorrebbe provare a cambiare le cose.

Gli auguro di farcela. Glielo auguro col cuore, quello grande e accogliente del Sinis.

Sa mesa

E l’eco rispose

Da tanto tempo non leggevo un libro così intenso.

Da troppo tempo non incontravo nella trama di un romanzo emozioni così profonde.

Erano anni che non leggevo le pagine di Khaled Hosseini.

E l’eco rispose è un romanzo assoluto, c’è la vita dentro. Uno di quei racconti che lasciano il segno, uno di quei libri da rileggere in epoche diverse della crescita personale.

Chi conosce Hosseini sa che le sue storie sono drammatiche, laceranti, vivide. Sa che l’Afghanistan permea la vita dei protagonisti con la sua cultura chiusa, la religione opprimente, il paesaggio polveroso.

E l’eco rispose è un romanzo corale dove le esistenze di intere famiglie si intrecciano in luoghi del mondo fra loro lontani:  Kabul, Parigi, Tinos, San Francisco. Vite che si influenzano le une con le altre senza nemmeno saperlo. Ci sono uomini vili e temperamenti audaci, donne tormentate, personalità folli, bellezze menomate disposte al sacrificio, ragazzi senza futuro e bambini abbandonati cresciuti troppo in fretta.

E c’è tutto ciò in cui ci riconosciamo: l’amore, il rimorso, il dovere, la vanità, la morte.

E’ una lettura che arricchisce. Imperdibile.

Imparai che il mondo non vede la tua anima, che non gliene importa un accidente delle speranze, dei sogni e dei dolori che si nascondono oltre la pelle e le ossa. Era così: semplice, assurdo, crudele.

E l'eco rispose

Why worry 2 , Lise & Gertrud from Stockholm

Cercando in rete la vecchia e la nuova versione di Why worry sono inciampata nel video di un duo femminile svedese très chic: Lise & Gertrud, due voci vibranti ed un violoncello, live at Nalen, Stoccolma.

Le guardo, le ascolto e mi rendo conto di assistere a qualcosa di più di un concerto, è una vera e propria performance. Musiciste sì, ma anche interpreti magnetiche, dotate di una particolare intuizione sui tempi della musica.

Gertrud al violoncello è in totale empatia con il suo strumento, non si vede dove finisce lei e dove iniziano il legno, le corde, l’archetto. Chiude gli occhi nei momenti più intensi e vibra all’unisono con le sue note. Mentre canta la senti vicina e al contempo inavvicinabile.

Lise, seduta in una posa innaturale, quasi irriverente, cattura lo sguardo del pubblico creando un’attesa apneica sulla nota successiva. La senti interpretare la strofa ancor prima che inizi a cantarla. E’ ammaliante.

In rete su di loro si trova poco. Non so se in Svezia siano famose, ma a due così io farei fare il giro del mondo. Soprattutto con la loro versione di why worry.

E se un giorno incontrerò Mark gli dirò che le tonalità non solo cambiano nel corso della vita, ma anche in base alle latitudini e a chi le sa interpretare.

Lise & Gertrude

Why worry 1, Mark from London

In estate accendo la televisione solo per guardare gli eventi sportivi di cui non posso fare a meno. Il resto non mi interessa. L’estate è vita, mi godo il silenzio afoso nelle ore della canicola o il frinire dei grilli nelle serate d’agosto.

Interrompo per un’ora il mio rifiuto estivo del televisore perché, per un caso fortuito, scopro che sta andando in onda il concerto di Mark Knopfler all’Hurlingham Club for the Prince’s trust Charity di Londra.

Dico ai miei figli: ascoltiamolo insieme, sono cresciuta con le canzoni dei Dire Straits e sono certa che quando voi avrete la mia età le ascolterete ancora perché la musica di Mark è eterna.

Mark è invecchiato, non è più lo smilzo capellone con il viso scavato e la fascia nei capelli che nel 1978 cantava Sultans of swing. Il Knopfler che conosco io non è mai stato una rockstar, nemmeno quando saltellava sul palco al ritmo di Money for nothing in compagnia di Sting. Knopfler era ed è un musicista eccelso che riusciva a mantenere la tipica compostezza inglese anche nei momenti più scatenati. Mai un eccesso, mai una sbavatura, contegno e stile in onore della musica.

Le stagioni trascorse gli hanno regalato un viso tondo ed un cranio calvo, lasciando intonsi gli occhi trasparenti che basta guardarli, non hanno bisogno di parole. Mark invecchiato è pura eleganza sulle corde della chitarra. Il “diteggio”, ovvero l’uso di tutte le dita sullo strumento, è un’arte che sembra avere inventato lui tanto è abile a praticarla. Dicono che sia uno dei tre migliori chitarristi viventi al mondo. Non conosco gli altri, mi basta vedere le sue dita che scorrono sulle corde per capire che non può che essere cosi, una verità incontestabile.

Dura poco più di un’ora il concerto londinese e io ascolto e riascolto why worry perché l’ho sempre trovata una canzone piena di fascino. Nella versione originale aveva un sound esotico, un ritmo hawaiano inedito e molto originale per quei tempi.

Prima di iniziare a suonarla Mark dice al pubblico: con gli anni mi sono reso conto che all’epoca l’avevo incisa nella tonalità sbagliata e attacca con la nuova tonalità, quella dell’età matura, che ha un sound ancor più morbido e garbato.

Se un giorno dovessi incontrare Mark (non si sa mai che lo incrocio da qualche parte…), gli direi che la tonalità originaria di Why worry non era affatto sbagliata perché è col fluire della vita che le tonalità cambiano naturalmente. Non è così?

Cronaca di un suicidio

Quanta tristezza nell’ultimo romanzo di Gianni Biondillo.

Già pregustavo una delle solite indagini intricate con protagonista il Commissario Ferraro coadiuvato dall’ineffabile Ispettore Lanza, magari giostrata su archi temporali diversi e farcita di tutta l’ironia di cui Biondillo è capace.

E invece mi ritrovo fra le mani un libro estremamente lineare, semplice, prodigo di contemporaneità. Una trama d’attualità sul disagio e l’impotenza di chi vive in condizioni economiche precarie e di chi, da benestante, si ritrova all’improvviso indigente.

Un giallo lento, senza ritmo, rassicurante.

Il Geometra Tolusso, uomo onesto e modesto che per campare scrive sceneggiature di fiction, è oberato da una montagna di debiti involontari, provocati da altri e dal caso. Ce la farà a reggere l’impatto devastante di tanta malasorte?

Le pagine di Cronaca di un suicidio sono un crescendo costante d’angoscia: le cartelle esattoriali recapitate dal postino, il conto del condominio con gli arretrati, i contributi erroneamente non versati, lo stipendio che non arriva mai ed una moglie cieca e bisognosa di protezione che vive dall’altra parte della penisola. Ci si immedesima così tanto con il dramma di Tolusso che si arriva a condividere l’ipotesi del suicidio come unica via d’uscita possibile.

Qualcuno dirà: ma con un titolo così, cosa ti aspettavi?

Mi aspettavo di non essere delusa da Biondillo e infatti con il colpo di coda finale, tagliente e imprevedibile, l’autore riscatta il romanzo e spazza via la tristezza.

E’ tanto volatile la nostra memoria che ha bisogno di essere ancorata ad una pietra.

Cronoca di un

La verità sul caso HQ

La verità sul caso HQ

Non si può partire per le ferie senza portarsi dietro il best seller dell’estate, anche se La verità sul caso Harry Quebert pensa ottocento grammi e rischia di farti sballare il peso della valigia al check in.

Ottocento grammi per ottocento pagine. Numeri che scoraggiano, non solo perché sono certa che un tale peso, sfogliato in spiaggia, risveglierà la mia tendinite al braccio sinistro, ma perché dubito di reggere una tale mole di parole sotto il sole cocente di Tharros, spiaggia dal mare turchino abbracciata dalle incantevoli rovine fenicie del VII secolo a.C.

E invece lo polverizzo in una manciata di giorni perché un collante potentissimo mi tiene attaccata al libro; mi immergo senza sosta in questo giallo retrodatato nel tempo in cui vorticano decine di personaggi, di situazioni, di ricordi.

Uno scrittore d’oggi indaga, per amicizia e lealtà, su uno scrittore di ieri accusato di un truce omicidio. Ogni pagina è un inganno, ogni personaggio mente, persino le ricostruzioni dei fatti sono mendaci. La sa lunga Joël Dicker, il giovanissimo autore svizzero che si prende gioco del lettore trattandolo come si trattano i bambini un po’ ingenui, con astuzia e accondiscendenza.

E quando, raggiunti i tre quarti del romanzo, ti viene da pensare: “Eh no caro Dicker, ti ho fregato, adesso ho capito tutto!”, basta una pagina in più per renderti conto che non avevi capito niente, è lui che ha fregato te.

Mi rimane un dubbio, una piccola falla nella trama, un passaggio illogico che non so spiegarmi. Forse è colpa della lettura vorace, del sole di Tharros o della tendinite prevedibilmente dolente. Mio marito, che l’ha trangugiato come me sotto lo stesso sole, ha il medesimo dubbio.

Devo confrontarmi con qualcun altro. Aspetto che lo legga la Lisa.