
Sbagliare la traduzione del titolo è un errore da principianti.
Non c’è nessun miniaturista uomo in questo romanzo di Jessie Burton, c’è una sola miniaturista ed è una donna, dalle apparizioni fugaci e per lo più inutili. Come inutile è una trama che imbastisce misteri senza svelarli, che si addentra in meandri paludosi lasciandoli tali, che scivola in un finale inconcludente.
Per chi ama il realismo magico sudamericano o i mondi paralleli di nipponica derivazione, leggere un racconto intriso di analoghe ambizioni non supportate dalla capacità di darvi corso con una narrazione convincente, è frustrazione pura.
Avrebbe dovuto chiamarsi “La miniaturista”.
Sostituire un uomo ad una donna, che sia un refuso nella traduzione, che sia una incomprensibile scelta voluta dell’editore, è gesto che indispone. Ne faccio una questione di principio, non tanto o non solo per un tema di genere, ma per l’evidente noncuranza del tutto.