Il senso di una fine

Stavolta non ho colpe. O meglio, ho attenuanti fortissime.

Intanto non sono caduta nella solita trappola da copertina, che è già un passo avanti. L’immagine scelta per Il senso di una fine di Julian Barnes è una famosa fotografia di Kuan Chang Chen raffigurante una donna di spalle sul Millennium bridge, il ponte di Londra che attraversa il Tamigi. E’ uno scatto interessante, sfuggente, leggermente seppiato che cattura l’attenzione, ma non al punto tale da dire: “Compro questo libro a scatola chiusa”.

E’ Antonio D’Orrico che mi ha fregata. Se un critico noto e competente come lui scrive: “Il senso di una fine è uno di quei romanzi che nascono già eterni. Bellissimo, bellissimo, bellissimo” è ovvio che viene voglia di comprarlo e di leggerlo subito.

Così ho fatto.
L’ho comprato.
L’ho letto subito.
Con immensa fatica.

Un libro così noioso non mi capitava fra le mani da anni. Un uomo anziano ricorda i tempi dell’università, gli amici più intimi, il primo amore. Fra un suicidio, un testamento e un figlio non voluto, compaiono ordinarie considerazioni sulla vita e strane equazioni esistenziali. I personaggi sono banalmente delineati, la trama è monotona, il colpo di scena finale si fatica a capire.

Salvo solo queste parole:

All’improvviso mi sembra che una delle differenze fra la gioventù e la vecchiaia potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri.

Tutto il resto è noia, come cantava qualcuno, tanti anni fa.

Il senso di una fine

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6 pensieri su “Il senso di una fine

  1. Io questo libro l’ho appena comprato perché suggerito come una delle migliori letture dell’anno da Gabriele Romagnoli, uno scrittore che adoro. spero che non mi faccia il tuo stesso effetto…

  2. Ho finito di leggere stanotte questo libro che, pur con qualche neo, come il finale un po’ “tirato via” (a meno che l’autore non ci abbia volutamente teso una trappola di “mancato senso” della fine) mi ha colpito e fatto riflettere. Di certo non mi ha annoiato. Ho trovato coinvolgenti le continue riflessioni sui ricordi e il senso di essi..«la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato», sull’autoinganno, sugli eventi reali che ci costringono a ripensare ai nostri ricordi e alle nostre rimozioni forzate. Una lettura profonda, un po’ angosciante a tratti. Penna agile e molto consapevole.Io lo consiglierei.

  3. Io, invece, non sono riuscita ad apprezzarlo. Di profondo e coinvolgente ci ho trovato ben poco ed anche lo stile non mi ha entusiasmata. Divergenti, direi, i nostri giudizi. Cara Lori, a questo punto sarei curiosa di sapere cosa ne pensa la Lisa.

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