Aspettare e sperare, sperare ed aspettare. Così, per trecento km, nell’attesa che nulla accada, che non cambino le carte in tavola, che la strategia della sola sosta paghi.
Poi, a pochi metri dal traguardo, con Vettel che sfiora e manca l’ennesima impresa, penso alle parole di Nico Hulkenberg: I’m very frustrated and disappointed today.
Le pronuncio anch’io, con una sorta di disincantata rassegnazione che non si addice a Spa. Continua a leggere
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In quel destino non scritto
Hanno capovolto il mondo.
Dopo tre anni di agonia rivedi le Rosse sfrecciare in vetta e pensi:
Bisogna gioirne, fin che si può.
Vedi Lewis in difficoltà, Nico in linea ma senza fuoco e ti dici:
Oggi è il giorno delle parti invertite, dei destini rovesciati, della buona sorte, finalmente. Continua a leggere
Lune e cani a Singapore
Uno strano effetto ottico mi illude che ai margini del circuito di Singapore compaiano decine di lune colorate. Guardo l’immagine aerea del tracciato e mi sembra di vedere un cane stilizzato dalla cui bocca esce un fumetto. Non so se sia colpa della Lacryma Christi che ho bevuto a pranzo, della mia fervida immaginazione o dei giochi di luce che rischiarano l’oscurità malese.
Sta di fatto che ogni fine settembre il Gran premio di Singapore ritorna, con la sua magia, a illuminare la notte asiatica. E’ una gara di contrasti: su in circuito in cui la potenza totale del sistema di illuminazione di pista è di 3,21 MW (con esorbitanti costi connessi), non si riesce a dotare i commissari di pista di semplici spazzoloni per pulire l’asfalto; devono usare le mani per togliere un detrito alla volta. Paradossi orientali, sfarzo e sfavillio, rischi altissimi per i piloti, safety car costantemente presente, misure di sicurezza che lasciano a desiderare.
Con Rosberg incolpevolmente fuori uso, Hamilton ha avuto vita facile. Vettel e Ricciardo, al suo fianco sul podio, hanno ristabilito un precario equilibrio e Fernando, coriaceo e battagliero come un toro, non ce l’ha fatta a conquistare il terzo gradino.
Riguardo l’immagine aerea del tracciato, vedo di nuovo il cane. Nel fumetto che esce dalla sua bocca, le parole di Nico dopo il ritiro: “Dispiaciuto, così, basta”.
https://righeorizzontali.wordpress.com/2013/09/21/by-night/
Nel tempio di Spa
Mentre aspetto che inizi il Gran premio, nel fare ordine sulla scrivania, riaffiorano parole curiose. Proprio nel giorno di Spa mi trovo fra le mani un quotidiano risalente a qualche mese fa: in primo piano il viso sorridente di Fernando Alonso con a fianco la scritta: “Vogliamo mettere fine al dominio delle Red Bull”.
Bizzarra la coincidenza di aver ritrovato questa pagina profetica proprio oggi, che la Red Bull di Ricciardo ha frenato il dominio delle Mercedes, conquistando meritatamente il Gran premio del Belgio.
Ho pensato a come cambiano le prospettive e in quanto poco tempo. Così nello sport, come nella vita.
Se dallo schermo televisivo si potessero apprezzare meglio le pendenze del circuito di Spa, se in una sorta di ripresa sezionale si potessero cogliere le salite e le discese e i curvoni scoscesi a velocità folli, si capirebbe quanto è spalancato, ostico e aggressivo questo circuito, da sempre considerato il tempio della F1, oggi ribattezzato l’università dei piloti.
Che nella foresta di Spa non piova è quasi impossibile, ma oggi, nel giorno delle regole sovvertite e delle gare dentro le gare, la luce filtrata dalle nubi innocue della Vallonia ha illuminato alcune, pesanti, verità.
La rivalità pericolosa fra i due piloti Mercedes che ha tolto a Nico Rosberg la vittoria e a Lewis Hamilton, forse, la tuta argentata; il quasi minuto di distacco che Daniel Ricciardo ha rifilato al compagno di scuderia quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel; la fatica inutile di Kimi e Fernando che in Bottas e Magnussen hanno trovato rivali insuperabili.
Non c’è amarezza in queste verità, solo disincantata rassegnazione.
E Monza si avvicina.
British overdose
E rieccola, la domenica che ospita nella stessa nazione la finale di uno Slam ed un Gran premio, una di quelle domeniche rare che all’inizio dell’anno segno sulla Moleskine con il titolo: overdose. Non v’è impegno, oggi, capace di mettere in discussione il mio tempo sacro, la mia overdose di sport, quelle ore di sospensione che hanno effetti benefici sulla mia stabilità mentale. L’elaborazione dei pensieri, anche quelli più negativi, va in stand by. Concederselo è un dovere, un lusso necessario.
Siamo a Silverstone, a metà strada fra Londra e Birmingham; siamo a Wimbledon, a due passi dal Tower Bridge. E’ una british overdose, quella di oggi.
La Ferrari è sotto accusa, le strategie si stanno rivelando disastrose, speranze non ce ne sono. Fernando fa il diplomatico e Kimi, come al solito, tace. Spettacolo sotto la pioggia o gran premio prudente dal dominio incontrastato di Nico Rosberg? Rimonta di Hamilton o risultato a sorpresa di un redivivo Vettel?
It doesn’t matter, direbbero a Londra, è tempo sacro, sia quel che sia.
Ogni volta che Roger Federer raggiunge la finale di uno slam, si legge e si dice: “Godiamocela perché potrebbe essere l’ultima”. Me la godrò davvero perché a contendergli la coppa sull’erba dell’ All england lawn tennis and croquet club ci sarà Nole Djokovic. Perfezione ed eleganza non deludono mai.
6 luglio 2014, british overdose.
Da Shanghai a Montecarlo passando per Losanna
E’ la domenica dei numeri due contro i numeri uno, la Pasqua delle lese maestà e degli allievi che superano i maestri.
Il Gran Premio di Shanghai ha confermato che questa nuova Formula 1 premia lo spettacolo, induce i piloti ad una competizione vera, spinge a rincorse e sorpassi, invita a violare gli ordini di scuderia. Su un circuito ardito, fatto di salite, discese e di curve infinite, dove il marble a fine gara ricopre l’asfalto di una viscida patina gommosa, Nico Rosberg, senza l’ausilio della telemetria andatagli in panne, ha rincorso Lewis Hamilton, risalendo la griglia di partenza e riuscendo a salirgli accanto sul podio. Daniel Ricciardo, il pilota dal sorriso contagioso, ha osato sfidare sua maestà Sebastian Vettel che, in crisi di velocità, si è messo a fare i capricci. Gli sono costati il quarto posto e 22 secondi di distacco: una lezione che non dimenticherà. Fra le Mercedes e le Red Bull ci sta Fernando, in gara con se stesso, una gara d’intelligenza, un terzo posto che sa di ossigeno per i tifosi e per il team Ferrari.
A Montecarlo, nel Master 1000 che apre la stagione tennistica sulla terra rossa, Stanislas Wawrinka ha compiuto l’impresa. Nella sfida tutta svizzera del torneo più chic dell’Atp world tour ha sconfitto Roger Federer, suo mentore, sua fonte di ispirazione, suo compagno di Davis, suo amico, suo esempio di vita, nonché miglior tennista di tutti i tempi. Ce n’era abbastanza per soccombere psicologicamente in pochi game e invece Stanislas da Losanna ha combattuto con tenacia e ha conquistato, con rispetto e deferenza, il suo primo Master 1000 in carriera.
Una Pasqua così: da Shanghai a Montecarlo passando per Losanna.
Nella nebbia di Delhi
E’ il giorno di Seb.
Nella nebbia di Delhi, pochi minuti prima della partenza, mentre un famoso cantante indiano avvolto in un turbante giallo cantava l’inno nazionale, già sapevamo che avrebbe vinto lui, Sebastian Vettel. Negli ultimi quattro anni, alla guida della macchina perfetta, ha dominato i circuiti di tutto il mondo senza fare sconti, senza avere pietà, come se in pista esistesse solo lui e nessun altro. E’ così che fanno i campioni veri: vanno sempre avanti, determinati, cinici, spietati, a prendersi tutte le vittorie possibili. E anche quelle impossibili. Se lo chiamano il cannibale, un motivo ci sarà.
Nella nebbia di Delhi Seb è entrato nella storia della Formula 1, raggiungendo Juan Manuel Fangio e Michael Schumacher nell’invidiabile traguardo di quattro titoli mondiali consecutivi. E’ un grande campione Seb, ma di farmelo diventare simpatico, proprio non ci riesco. D’altra parte per lo stesso Schumacher non ho mai provato un briciolo di simpatia, nonostante di mondiali consecutivi ce ne abbia regalati ben cinque. In fondo, si sa, i grandi campioni non hanno bisogno di essere simpatici.
Nella nebbia di Delhi Fernando ha fatto quel che ha potuto, o forse no. La sorte lo ha ricacciato indietro e da lì non è più risalito. Perso nella densa foschia.
Nella nebbia di Delhi iceman Kimi ha rischiato la strategia di gara più azzardata, che non ha pagato, ma gli ha consentito di strappare a Seb il giro record, proprio l’ultimo, il lap 60/60. Una piccola beffa, un segnale minaccioso, un flebile motivo di speranza.
A qualcosa dovremo pure aggrapparci.
Verde Suzuka
Ha la forma di un serpente a tre teste il circuito giapponese di Suzuka. Stretto, lungo, affusolato, pare un rettile avvitato su sé stesso, un groviglio sinuoso, una sfida per i piloti. E’ il tracciato delle curve, quello in cui i sorpassi sono azzardi incoscienti e la bravura di chi è al volante può sopperire alle mancanze della vettura. E’ il circuito della guida vera, tecnica e libera, quello che tutti i piloti amano.
Natura rigogliosa, alberi ancora verdissimi, prati morbidi che emanano luce. Se non fosse che anche in Giappone è arrivato l’autunno, verrebbe da pensare ad una radiosa domenica di primavera.
Le barriere protettive hanno i colori della bandiera italiana. Chilometri e chilometri d’asfalto lambiti da strisce tricolori; uno sorta di omaggio all’Italia, forse casuale, forse voluto, non so. Di cappellini e magliette ferrariste ce ne sono a migliaia sulle tribune gremite, macchie rosse rampanti che non smettono di credere nel cavallino. In un contesto così, ci si sente un po’ a casa.
Efficienza è la parola d’ordine su questo tracciato orientale in cui dal nulla sbucano, furtive, piccole squadre di nipponici commissari di percorso con in mano estintori, spazzoloni d’asfalto, motorini per caricare i piloti più sfortunati. Piccole equipe di operosi giapponesi pronti a salvare chiunque.
Non ce l’hanno fatta, però, a salvare Webber da Vettel, da quella dubbia strategia di gara che gli ha imposto tre soste invece di due, dagli ordini di scuderia che lo hanno privato della vittoria che meritava, stavolta davvero e molto più di Seb.
Sul podio Vettel, Webber e Grosjean. Fernando e Kimi subito dopo. Col corpo sono lì, ma la testa di tutti, anche di noi ferraristi, è già a Melbourne 2014.