Il contrario di uno su un treno per Lisbona

Il contrario di uno

Credo alle coincidenze, agli incroci accidentali di avvenimenti, ai fatti che capitano per caso e che, solo legandosi insieme, trovano il loro significato.

I fili che si intrecciano nella mia coincidenza di questi giorni sono tanti: due date partigiane, un libro, un invito su un treno, un film. Tutto in pochi giorni, tutto legato, tutto coincidente.

E’ quasi una storia, con un prologo, uno lasso temporale, un seguito, un finale.

Il prologo è un post di un amico di blog pubblicato il 27 febbraio, giorno della Liberazione del mio paese, l’unico comune italiano che ancora commemora con una giornata di festa cittadina il ricordo della propria battaglia partigiana lasciando in eredità alle giovani generazioni il significato del sacrificio della propria Resistenza. In quella data per me così importante, l’amico di blog invitava metaforicamente gli appassionati di Erri de Luca a salire su un treno per leggere i suoi libri. Reduce dalla illuminante lettura di Non ora non qui, accettai di buon grado l’invito simbolico, chiedendo consiglio su un titolo. La risposta fu: Il contrario di uno.

Il lasso temporale è quello che dal 27 febbraio arriva a questi giorni. Non avendo tempo di passare in libreria per comprare Il contrario di uno, ho lasciato scorrere le settimane, poi, stanca di non averlo, l’ho ordinato sul web. L’ho ricevuto pochi giorni fa e appena me lo sono ritrovata fra le mani mi sono ricordata che dovevo leggerlo su un treno immaginario. Così ho fatto, seduta nel vagone di Erri, mi sono immersa nei suoi racconti di ricerca esistenziale, di lotta politica e di libertà, scritti con la peculiare prosa, intima ed essenziale, di chi è capace di cesellare frasi conferendo un nuovo significato alle parole.

Il seguito è di due sere fa quando, in cerca di un buon film, capito per caso su Il treno di notte per Lisbona dove il protagonista Raimond, un professore svizzero di lingue antiche, salva dal suicidio la nipote del boia di Lisbona Rui Luis Mendes, torturatore di giovani resistenti ai tempi del regime di Salazar. Nel soprabito della ragazza il professore trova un libro scritto nel 1975 da Amadeu Prado, membro della resistenza portoghese che perse la vita opponendosi al regime dittatoriale. Nel libro c’è un biglietto di un treno, partenza Berna, destinazione Lisbona. Non ci pensa due volte Raimond, vuole conoscere la storia di quel libro, vuole sapere di più sulla rivoluzione dei garofani. Sale sul treno e, mentre dal finestrino l’Europa occidentale gli scorre accanto, si immerge nella lettura di Um ourives das palavras – L’orafo delle parole. Sobbalzo e penso subito ad Erri, il cesellatore di frasi, l’orafo del linguaggio più abile che abbia mai letto. D’ora in poi lo chiamerò così, Erri l’orafo delle parole.

Il finale è l’alba di stamane quando ho girato l’ultima pagina de Il contrario di uno. Stamane, 25 aprile, giorno della Liberazione, commemorazione della Resistenza, festa dell’Italia libera.

Due date partigiane, un libro, un invito su un treno, un film: i miei fili intrecciati e coincidenti che interpretano e rinnovano il significato della Libertà.

 

http://orearovescio.wordpress.com/2014/02/27/a-proposito-di-erri/

 

 

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Non ora, non qui

Non ora, non qui

E poi vado in una libreria che sta chiudendo, che sconta i libri indistintamente e non riesco a fare incetta di titoli perché mi sembra irrispettoso girare fra gli scaffali semivuoti e comprare a caso.

Una copertina di arida terra scarlatta attrae la mia attenzione, è il mio unico acquisto. Erri De Luca lo lambisco da anni, sempre a un passo dal leggerlo, sempre qualche impedimento casuale mi ha tenuta distante.

E così, facendo mia la desolazione di una libreria che sta scomparendo, fra gli sguardi pensosi dei clienti e quelli affranti dei commessi, mi convinco che sia arrivato il momento giusto per Non ora, non qui, che questa opera prima autobiografica scritta da De Luca nel 1989 sia il punto perfetto da cui partire in un pomeriggio malinconico di libri che abbandonano e di pagine che se ne vanno.

Ne avevo sentito parlare come di un autore difficile, di una lettura ardita e complessa, di qualcosa di ostico e, per molti, respingente. Ma la scrittura, quando ha qualcosa di rilevante da dire, non c’è artificio linguistico che la trattenga.

Quando ne parlerò io di Erri De Luca, se qualcuno mi chiederà, dirò che con grande meraviglia ho incontrato un’espressività rivoluzionaria all’interno di una lingua italiana destrutturata, che ho riconosciuto la capacità assoluta di condensare in brevi e frammentate frasi un’infanzia intera, la grandezza di un’autoanalisi profonda, lucida e disarmante.

Dopo aver letto Oceano mare, vent’anni fa, non ho più incontrato scrittori che, come Alessandro Baricco, mi facessero credere che è possibile sconvolgere la lingua italiana al punto tale da renderla nuova. Poi, il 7 gennaio del 2014, ho preso fra le mani una copertina di arida terra scarlatta da uno scaffale semivuoto di una libreria a cui ero affezionata e ho avuto la fortuna di cogliere il momento giusto per capire che in De Luca, nel suo spirito di lotta e di combattente dalle armi deposte, alberga in modo fecondo la rarissima capacità di innovare.