Le qualifiche, il Gran Premio, le fasi finali di uno Slam.
Di fine settimana così, quando va bene, ne capitano tre in un anno. Sono quelli che chiamo i miei week end da overdose di sport, quelli in cui riesco a mettere da parte ogni impegno, ogni proposito, ogni incombenza per poter trascorrere lunghe e silenziose ore davanti allo schermo in compagnia delle mie passioni sportive.
E’ tempo per me, è tempo sacro.
Dei quattro tornei di tennis più importanti del mondo l’US Open è quello che mi piace meno. Perché il cemento è una superficie che fatico a capire, perché penso che il pubblico chiassoso e la musica ad alto volume fra una pausa e l’altra del gioco siano innaturali per questo sport, perché la tradizione tennistica americana non mi ha mai appassionato, ad esclusione di Andre Agassi, uomo, atleta ed eroe moderno che ha cambiato la concezione del tennis. In semifinale, sui lati opposti del tabellone, ci sono i due tennisti del ranking per cui mi ritrovo sempre a tifare: Nole, il numero uno indiscusso e Rafa, risalito in pochissimi mesi al secondo posto della classifica mondiale. Sono loro che vorrei vedere giocarsi la finale sull’Arthur Ashe, il campo centrale di New York.
Di tutti i Gran Premi, invece, quello di Monza è fra i miei preferiti. Perché in un’epoca passata ho avuto la fortuna di frequentarne la pit lane e i box, perché il Parco del Lambro è un contesto naturale che il mondo ci invidia, perché un tappeto umano di magliette, cappellini e bandiere col cavallino rampante è uno spettacolo impagabile che solo Monza può offrire.
Ancora una volta le qualifiche hanno dato ragione alla Red Bull. Nel mio sogno da overdose immagino Fernando sul primo gradino del podio, con Kimi al suo fianco.
E’ solo un sogno, lo so.