Una scossa, finalmente.
Ci voleva Silverstone, circuito che raramente delude, per risvegliarci dal torpore.
Ci voleva la Williams, scuderia brittanica improvvisamente resuscitata.
Ci volevano il cielo plumbeo d’Inghilterra e la Union Jack a sventolare in alto, nel vento. Continua a leggere
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Nel tempio di Spa
Mentre aspetto che inizi il Gran premio, nel fare ordine sulla scrivania, riaffiorano parole curiose. Proprio nel giorno di Spa mi trovo fra le mani un quotidiano risalente a qualche mese fa: in primo piano il viso sorridente di Fernando Alonso con a fianco la scritta: “Vogliamo mettere fine al dominio delle Red Bull”.
Bizzarra la coincidenza di aver ritrovato questa pagina profetica proprio oggi, che la Red Bull di Ricciardo ha frenato il dominio delle Mercedes, conquistando meritatamente il Gran premio del Belgio.
Ho pensato a come cambiano le prospettive e in quanto poco tempo. Così nello sport, come nella vita.
Se dallo schermo televisivo si potessero apprezzare meglio le pendenze del circuito di Spa, se in una sorta di ripresa sezionale si potessero cogliere le salite e le discese e i curvoni scoscesi a velocità folli, si capirebbe quanto è spalancato, ostico e aggressivo questo circuito, da sempre considerato il tempio della F1, oggi ribattezzato l’università dei piloti.
Che nella foresta di Spa non piova è quasi impossibile, ma oggi, nel giorno delle regole sovvertite e delle gare dentro le gare, la luce filtrata dalle nubi innocue della Vallonia ha illuminato alcune, pesanti, verità.
La rivalità pericolosa fra i due piloti Mercedes che ha tolto a Nico Rosberg la vittoria e a Lewis Hamilton, forse, la tuta argentata; il quasi minuto di distacco che Daniel Ricciardo ha rifilato al compagno di scuderia quattro volte campione del mondo Sebastian Vettel; la fatica inutile di Kimi e Fernando che in Bottas e Magnussen hanno trovato rivali insuperabili.
Non c’è amarezza in queste verità, solo disincantata rassegnazione.
E Monza si avvicina.
Manama, un tappeto di velluto
Ai margini della pista c’è un tappeto di velluto colorato. E’ una strana superficie, sembra sabbia compattata, una liscio velour che costeggia l’intero tracciato di Manama. Ha i colori tenui delle palme e dei cammelli, il rosso e l’arancione del tramonto nel deserto, le sfumature blu del mare che lambisce le trentatré isole del Bahrain.
E’ la prima volta che nel Bahrain si corre di notte e il fascino delle vetture che brillano nel buio di Manama non solo oscura l’esotismo di Abu Dhabi, ma supera persino la magia di Singapore. Un rigore incantato aleggia sulla gara: c’è ordine, c’è determinazione, c’è sicurezza. Quella delle Mercedes i cui colori argentati esaltano lo charme di questa lunga notte mediorientale.
Che le Mercedes domineranno il mondiale lo abbiamo già capito. Che Nico Rosberg e Lewis Hamilton non siano allegri compari, ma rivali irriducibili ce l’hanno dimostrato oggi, regalandoci un duello vero, momenti di gara esaltanti, tentativi di sorpasso al limite, competizione pura.
C’è chi attribuisce la supremazia delle Mercedes alle nuove regole. Io non sono in grado di dirlo, non ho abbastanza competenze tecniche per affermare con certezza quale delle novità introdotte stia alterando l’equilibrio fra i team. Una cosa però, a istinto e a logica, mi sento di affermarla. Trovo assurdo che nel campionato automobilistico in cui si raggiungono le maggiori velocità su pista, si debba controllare e limitare il consumo di carburante. La F1 “economy”, come qualcuno l’ha definita, è un controsenso inspiegabile.
Il novecentesimo Gran Premio della storia della Formula 1 se l’è aggiudicato Lewis, Nico dietro di lui, terzo il messicano Perez.
E le Ferrari, come al solito, stanno a guardare. Magari col naso all’insù, magari quei fuochi artificiali che a Gran Premio finito illuminano la notte di Manama. Ironia vuole che siano fuochi rossi, luminosi e scoppiettanti, che di argento hanno ben poco.
Devono aver sbagliato colore quando li hanno ordinati.