Un lampione illumina la strada all’incrocio fra due vie. E’ quasi campagna, filari di vite tutt’intorno che non riesco a vedere perché è buio già da ore.
Sono in due, lei più alta, lui più basso e si tengono per mano. Me li vedo comparire davanti all’improvviso, uno strano riverbero mi abbaglia, d’istinto freno e cambio traiettoria per non investirli. Si muovono lentamente, chiacchierano e sorridono, neanche si sono accorti che stavano per essere investiti.
Con l’automobile quasi ferma posso osservarli attentamente, la luce del lampione illumina le loro sagome che oltrepasso al rallentatore per coglierne i particolari. Hanno i tratti orientali, non saprei dire se cinesi, vietnamiti o di quale altro paese dell’estremo oriente. Li immagino fratelli, lei che non ha ancora vent’anni, lui che i dieci li ha compiuti da poco. Capelli scuri e lisci, visi sagomati, esili figure avvolte in due giubbetti leggeri. L’andatura è ricurva, il passo comodo, l’incedere flemmatico, in netto contrasto con le mie pulsazioni, accelerate per lo spavento preso.
Cerco i loro occhi e incrocio lo sguardo di entrambi, muovono la testa all’unisono lanciandomi occhiate rassicuranti che sembrano dire: “Stiamo bene, non è successo niente, perché ti preoccupi?”
Quegli sguardi mi bastano, ingrano la seconda, poi la terza e riprendo la mia strada. Poche centinaia di metri e sento la tensione defluire, lo spavento è passato. Solo dopo qualche minuto realizzo un particolare macroscopico sfuggitomi quando avevo davanti agli occhi i due ragazzi, ovvero l’origine di quello strano bagliore. Guardavo la mano sinistra della ragazza che aveva le dita intrecciate con quelle del fratello, un gesto così bello da impedirmi di focalizzare l’attenzione sulla mano destra, saldamente avvinghiata al cerchione di un pneumatico, portato sulla spalla a mo’ di borsetta. Un cerchione laminato, opaco e freddo che ho supposto tagliente per quelle dita sottili.
Ripenso al buio della campagna, al lampione che illumina le sagome, ai passi rallentati, agli sguardi rassicuranti, al battito cardiaco, al cerchione del pneumatico. E’ una scena singolare, forse un po’ surreale, degna di un romanzo di Haruki.
E così, fra la stanchezza che attanaglia e l’adrenalina che scende, formulo un pensiero assurdo: sono forse finita dentro un libro di Murakami?