Ha la faccia da bravo ragazzo Nico Rosberg, uno di quei visi un po’ squadrati, pieni e luminosi che mettono di buon umore. L’ho sempre considerato un pilota talentuoso ma sfortunato, capitato nelle scuderie giuste ma nelle annate sbagliate. Nel 2010, libero dal contratto con la Williams, speravo che la Ferrari lo ingaggiasse come secondo di Alonso, una sorta di scommessa tedesca post era Schumacher. E invece se lo accaparrò la Mercedes, affiancandolo proprio a Michael Schumacher, illustre ed ingombrante connazionale.
A guardare il viso quasi angelico di Nico non si direbbe che è uno spericolato pilota con la velocità pura nel sangue. Uno che, se è pur vero che fatica a reggere la lunghezza della gara, sul giro secco è capace di polverizzare qualsiasi avversario, persino il re delle pole Lewis Hamilton, suo compagno di scuderia.
Da molti è definito come l’eterna promessa destinata a non sbocciare mai. Oggi, forse, qualcuno si ricrederà perché a Montecarlo Nico ha infilato la terza pole position consecutiva dimostrando di essere all’altezza del padre Keke, campione degli anni ottanta dalla guida aggressiva che proprio nel Gran Premio del Principato dava il meglio si sé, esaltando la propria sconsideratezza nel circuito cittadino più pericoloso ed insidioso di tutto il mondiale.
La genetica, a volte, è strana. Keke, con la sua lunga chioma e l’aria da maledetto, sfoderava una sfrontatezza che infastidiva avversari e pubblico. Nico, con il volto rassicurante e gli occhi placidi, ha uno stile di guida velocissimo ma corretto e amato da tutti perché rispettoso delle regole. Sangue dello stesso sangue, eppure diversi nell’aspetto e nella condotta. Eppure due grandi campioni.
A Nico manca solo una pole per eguagliare il record del padre.
Magari in Canada, fra quindici giorni.
Magari dedicandola a Keke.