
E poi, finalmente, arriva una bella storia italiana che pacifica le situazioni storte, le letture dubbiose, il cattivo tempo e persino le inevitabili ambivalenze insite nei cambiamenti. Il potere di una buona lettura, a volte, è sorprendente, soprattutto se non si tratta di un racconto qualunque, ma dell’ennesima, agognata storia di Salvo Montalbano.
Recensire Camilleri non è impresa per me. Di fronte a cotanto, mi intimidisco e mi faccio piccola.
Anche perché mi chiedo: cosa può esserci ancora da dire su questo personaggio di cui sappiamo tutto? Montalbano è l’ospite delle nostre case, quello di cui conosciamo il desco quotidiano, i pensieri più intimi, le infatuazioni, le insicurezze, persino i sogni. E’ il personaggio nella cui casa siamo a nostra volta entrati, a bere whisky sulla terrazza di Marinella, fra le lenzuola aggrovigliate del suo letto fedifrago, ad aspettare che sia pronta una cicaronata di caffè nella cucina di maioliche.
“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese..”. Mi viene da citare, a sproposito, l’Ariosto, che è poeta di casa mia, in un’assonanza illogica e immaginaria di eroi presenti e di modelli dimenticati. Chissà perché.
E quello che rimane, alla fine di ogni storia, è il linguaggio siculo che permea, per un po’, il nostro. Ci si ritrova a parlare siciliano, anche se si proviene dal profondo nord.
Fra una sciarriatina, una marcia narrè, una rottura di cabasisi e una pasta ‘ncasciata, si rimane in attesa che arrivi il prossimo racconto e si coltiva il recondito e irrealizzabile desiderio che l’ultima e definitiva storia di Salvo, quella chiusa a chiave nella cassaforte di Sellerio, non arrivi mai.
