La Mennulara

La Mennulara è morta e tutto ruota attorno a lei, che non c’è più.

Non la vediamo mai, la Mennulara.
Un’intera comunità ce la descrive, per aneddoti riportati, per ricordi vissuti, per dicerie di paese e insinuazioni infamanti la cui veridicità è enigma costante di questo romanzo.

La narrazione è intreccio corale e rimbalzante di una girandola di personaggi fra cui, va detto, ci si può perdere, smarrendo completamente il filo. C’è chi la salva, chi la condanna, chi la capisce, chi la compiange.

Si prende gioco di tutti, la serva Mennulara, che governa da postuma le vite altrui.
Questo libro è una ruota, che a tratti fa sorridere, a tratti volutamente confonde, e che sul finire chiarisce ogni dubbio ristabilendo una verità dai chiari contorni.

Complesso da scrivere, tanto è sfidante l’intrigo da cronaca.
Piacevole da leggere, così intriso d’ironia.

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Confessioni di una maschera

Yukio Mishima è un maestro, lo so.
E i maestri non si toccano, so anche questo.
Io però queste Confessioni di una maschera, ovvero di un giovane uomo che racconta l’incapacità di capire la propria omosessualità, le trovo noiose, esageratamente introspettive e inutilmente ridondanti. Approdassero a una qualche soluzione, illuminazione, decisione, allora, forse, la fatica della lettura sarebbe ricompensata da un finale degno di nota.
E invece no, di approdi non ce ne sono, e la fatica della lettura è ricompensata dal sollievo di averla finita.

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Una ferita aperta

L‘errore l’ho fatto io, forse per distrazione o per fretta.
Ero convinta di aver acquistato un libro indagatore di complicati rapporti famigliari e invece ho scoperto, già dalle prime pagine, che di tutt’altro si trattava: abusi su bambini.

Non ho affrontato Una ferita aperta come avrei dovuto, l’ho a tratti respinto e a tratti mal sopportato e nemmeno la trama da romanzo giallo che si innesta via via che il libro prosegue mi ha appassionata.

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Storia di un fiore

Non lo definirei imperdibile, né entusiasmante, né degno di nota questo romanzo più tendente al rosa che a qualsiasi altro genere.
Storia di un fiore è un racconto semplice che sta in superficie e non scava, i cui personaggi sono appena tratteggiati e le ambientazioni ampiamente descritte. Nessun colpo di scena, nessun risvolto inaspettato, solo un veloce fluire di descrizioni floreali.

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Nostalgia

È un romanzo letto da dentro, con le voci che si raccontano da sole e i fatti che attraversano le esistenze, scavandole pian piano. Leggendolo ci si evolve con loro, si assiste partecipi ai cambiamenti, si condividono le riflessioni più crude, si accettano gli inesorabili epiloghi.
Nostalgia non è, forse, un semplice titolo, ma una parola chiave che stende su ogni cosa un lieve velo di delicata consapevolezza.
Nevo scrive da maestro, è abile prestigiatore. Gli uomini e le donne a cui dà vita non nascono da una penna, ma direttamente da un cuore. Continua a leggere

Sale tra le dita, Stefania Sabattini

Grazie Rosy, il tuo commento è una sintesi perfetta dei miei grani di sale. La grande sensibilità che ti contraddistingue, la tua passione per la letteratura e la capacità che hai di cogliere ogni sfumatura nei testi che leggi, fanno di te la lettrice ideale che ogni scrittore vorrebbe avere.

live&read

Con questo libro ho sorriso (Cipriana e’ un mito!), mi sono emozionata, ho avuto i brividi in alcuni momenti, le lacrime agli occhi, verso la fine sentivo la stessa sensazione di leggere un thriller, quando nn vedi l’ora di sapere come va a finire!
Storie di tutti i giorni che si intrecciano. C’è tutto in questo libro: la difficoltà a volte di essere genitori, la forza ed il coraggio di crescere una figlia da sola, le angosce adolescenziali, la precarietà del lavoro, gli antichi rituali della nonna, il mondo reale ed il mondo virtuale a volte rifugio, distacco da una vita che si fatica ad accettare, la poesia come unico mezzo di comunicazione … un romanzo corale che da’ voce ai sentimenti attraverso le storie di due famiglie alle prese con … la vita, semplicemente la vita!

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crowdfunding

orearovescio

by web

Avevo preso l’abitudine di leggerla, non ricordo come fosse iniziata, ma da qualche anno ormai non mi perdevo i brani che comparivano con regolarità nel suo blog. Nonostante la reciproca frequentazione da appassionati di scrittura, di lei sapevo poco o nulla, se non l’occhio velato dai capelli che appariva nel suo avatar, e soprattutto lo stile con cui tesseva la ragnatela di parole che m’intrappolava al monitor.

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Storia di Said nelle scarpe coi tacchetti

Le scarpe coi tacchetti gliele hanno regalate. Sono quelle dismesse di un bambino italiano, consumate dall’uso, stanche per tutti i chilometri corsi sui campi di terra indurita. A Said calzano larghe, teme di perderle mentre corre e oggi, più di altre volte, fatica a stringersi i doppi nodi intorno alle caviglie perché i lacci, troppo asimmetrici e sempre più lisi, gli scivolano fra le mani. Non vuole più che gli capiti come quella volta in cui, sull’erba umida e vischiosa, nel tirare un forte calcio al pallone la scarpa destra gli volò via, iniziando a ruotare pericolosamente nell’aria fra lo spavento e le risate dei bimbi che correvano al suo fianco.

Ha solo sette anni Said e da pochi mesi è arrivato in Italia. Non parla la nostra lingua, le istruzioni del suo Mister sono per lui messaggi incomprensibili. Eppure in campo sa quel che deve fare, si affida all’istinto e raramente sbaglia.

Gli mancano la conoscenza dell’ambiente e l’affiatamento coi compagni.
Quel che non gli manca è il coraggio. Lo dissemina sul campo ad ogni falcata, imponendo una personalità che, ai più, incute rispetto.

Solo qualche bullo prova a prenderlo in giro, soprattutto per via dei suoi occhiali da vista rettangolari e un po’ sghembi che Said lega dietro le orecchie con una cordicella di elastico rosso. Non reagisce alle provocazioni, ignora chi lo canzona, non ha tempo per le cose inutili Said. Pensa solo a giocare, a dare il meglio di sé, a farsi vedere dal fratello più grande che dalla tribuna lo incoraggia.

E’ gracile questo cucciolo magrebino, due spalline da uccellino, le gambe da stambecco, i piedi magri dentro scarpe troppo larghe. Smuove
tenerezza, ma anche ammirazione perché la determinazione di Said, il suo
coraggio e la sua forza hanno più di sette anni; sono risorse adulte cresciute
troppo velocemente dentro il corpo di un bambino.

scarpe coi tacchetti

Un anno di righe

Oggi le mie righeorizzontali compiono un anno di vita.

Grazie alla Marghe Violi.

Grazie alla Robbi, a Franco, Sally, Mirco, Giorgia, Lucas, Paola F., Paola R., Terry, Manuela, Elly, Barbara, Elisa C., Elisa S., Nazzarena, Lisa L., Lisa B., Loretta, Rita, Ivan, Roberto, Lolli, Maurizia, Stefano, Beppe, Francesca, Paolo, Claudia, Andrea, Silvia, Rosy, Maria, Alex, Lorena, Michele, Fulvio, Luca, Alessandra, Vaint, Marina, Patrizia, Mirna, Linda, Anna.

Grazie a tutti i blogger che mi seguono, in modo particolare liveeread, orearovescio, offphoto.

Grazie a tutti quelli che, ogni tanto, transitano da qui.

Buon compleanno righe!

Un anno di righe

Storia di Rosa, gradazioni di felicità

Un maglione amaranto aderente e scollato, una collana argentata di anelli ovoidali fra loro intrecciati. I capelli corti, leggermente cotonati, il collo lungo e nervoso in evidenza.

Un paio di occhiali tondi dalle lenti spesse il cui colore, cremisi, con l’amaranto ben si sposa. Nella mano sinistra stringe un kleenex che ogni tanto passa sotto il naso con delicatezza. Nella destra il cellulare, che controlla in continuazione.

Non è concentrata, ascolta il relatore del corso di aggiornamento simulando un falso interesse. Forse, come la maggior parte delle persone sedute in questa grande aula di formazione, pensa ad altro, a quel che dovrà fare stasera, a quanto manca alla fine della lezione o, più probabilmente, al contenuto di quegli sms che vibrano fra le sue mani.

Muove le gambe ritmicamente, scandisce il tempo picchiettando l’aria su e giù con la punta dei piedi.
E sorride.

I temi che ci stanno illustrando non sono affatto divertenti: imperizie, imprudenze, negligenze. Eppure lei sorride. Guarda di nuovo il display del suo smartphone e sobbalza sulla sedia, compiaciuta.

Il rossetto vermiglio, che col cremisi vorrebbe intonarsi, è leggermente sbavato all’insù e ogni volta che le scappa un sorriso, quel baffo rubino le invade la guancia.

Poggiato sul banco c’è un grande quaderno sulla cui copertina sta scritto il nome Rosa.

Questa donna ha il nome di un fiore e su di sé tutte le gradazioni più accese di quel colore.

E’ felice Rosa e in un attimo io mi accorgo che la felicità non la so raccontare.

Rosa

Verde Suzuka

Ha la forma di un serpente a tre teste il circuito giapponese di Suzuka. Stretto, lungo, affusolato, pare un rettile avvitato su sé stesso, un groviglio sinuoso, una sfida per i piloti. E’ il tracciato delle curve, quello in cui i sorpassi sono azzardi incoscienti e la bravura di chi è al volante può sopperire alle mancanze della vettura. E’ il circuito della guida vera, tecnica e libera, quello che tutti i piloti amano.

Natura rigogliosa, alberi ancora verdissimi, prati morbidi che emanano luce. Se non fosse che anche in Giappone è arrivato l’autunno, verrebbe da pensare ad una radiosa domenica di primavera.

Le barriere protettive hanno i colori della bandiera italiana. Chilometri e chilometri d’asfalto lambiti da strisce tricolori; uno sorta di omaggio all’Italia, forse casuale, forse voluto, non so. Di cappellini e magliette ferrariste ce ne sono a migliaia sulle tribune gremite, macchie rosse rampanti che non smettono di credere nel cavallino. In un contesto così, ci si sente un po’ a casa.

Efficienza è la parola d’ordine su questo tracciato orientale in cui dal nulla sbucano, furtive, piccole squadre di nipponici commissari di percorso con in mano estintori, spazzoloni d’asfalto, motorini per caricare i piloti più sfortunati. Piccole equipe di operosi giapponesi pronti a salvare chiunque.

Non ce l’hanno fatta, però, a salvare Webber da Vettel, da quella dubbia strategia di gara che gli ha imposto tre soste invece di due, dagli ordini di scuderia che lo hanno privato della vittoria che meritava, stavolta davvero e molto più di Seb.

Sul podio Vettel, Webber e Grosjean. Fernando e Kimi subito dopo. Col corpo sono lì, ma la testa di tutti, anche di noi ferraristi, è già a Melbourne 2014.

circuito-Suzuka