
Molto lontano da quel che sembra, non c’è barlume di erotismo in Voglio guardare.
Dal nulla emergono atrocità senza spiegazioni messe lì da De Silva solo per farcele vedere.
Guardale senza averne cognizione fa quasi più paura che provare a trovarci un senso.
Forse mancano dei pezzi lungo il cammino della storia, forse qualche anello della catena è andato smarrito, perché più che a un racconto questo libro somiglia a una fotografia.
Un fermo immagine di un’evidenza.
Qualcosa che così è e che diversamente non può essere.
Un De Silva inedito che anche nel descrivere una lucida ferocia a suo modo lascia il segno.
“La paura non l’ha dimenticata. Nemmeno per un attimo. Ce l’ha nella borsa, in una delle tasche interne in cui ha infilato il pezzo dello zaino tagliuzzato con le forbici. Adesso, però, ha smesso di fargli tutto quel male. Per la prima volta da giorni si accorge di riuscire ad applicare a se stesso la stretta logica del penalista, che riduce l’accusa all’essenza e la colpisce al cuore facendo meno sangue possibile.”