
Ogni tanto un libro così ci vuole. Un romanzone di quelli che si scrivevano una volta, un’epopea famigliare in cui ogni cosa -trama, personaggi, ambientazioni- scorre qualche centimetro al di sopra della superficie.
Ne “Le figlie del capitano” tutto l’immaginabile è già immaginato e tutto il prevedibile è già accaduto. I colpi di scena sono anticipati in tanti già visto, le caratterizzazioni rimangono intatte dall’inizio alla fine, i dialoghi risultano sempre rassicuranti nella loro standardizzazione di massima. Si gira pagina senza interrogativi su quel che sarà, il pensiero non si arrovella.
Ci si concede una pausa, insomma, tirando fiato da letture più impegnative e stimolanti che scavano ben al di sotto di ciò che affiora.
È una penna facile quella della Dueñas.
Che sia il tempo di far visita a quel che rimane di Haruki?
“A volte nella vita, i disastri non sono provocati dalle cause più immediate o apparenti, ma dalle frustrazioni che portiamo sepolte nell’anima.”
Praticamente è una soap opera in versione cartacea, è il libro adatto a me in questo periodo di lobotomia totale!
Esatto Lisa, un feuilleton che tiene vuota la mente.