Gli esperimenti di scrittura a più mani mi hanno sempre attratta. Scrivere è per lo più un bisogno solitario, ma anche i solisti più schivi, ogni tanto, hanno bisogno di calarsi nel vivo di un’orchestra per ascoltare la musica corale prodotta dalle altrui parole mescolate con le proprie.
L’invito di bookabook, il mio editore, mi è arrivato proprio mentre stavo pensando che è quando le cose si fanno difficili che bisogna dare corpo alle idee. E così, mi è bastato leggere l’incipit di Sara Alaimo sul blog di bookabook, per raccogliere immediatamente l’invito a proseguire. Senza nemmeno pensarci, Hans, Ines, Elena, Adelmo e l’io narrante hanno preso corpo fra le mie righe, come se già sapessi tutto di loro, come se le note del mio spartito fossero composte da tempo fra quelle idee messe da parte per i momenti difficili.
L’incipit di Sara lo trovate qui:
https://bookabook.it/libri-nei-momenti-difficili-un-esperimento-letterario-piu-mani/
Il mio spartito è quel che segue:
“Hans che aveva quel fare così accattivante nella lettura e quella voce così profonda nel declamare, da rendere i tuoi occhi sognanti ogni volta che posavi lo sguardo su di lui. Te lo confesso, un po’ sono stato geloso del modo in cui ti lasciavi conquistare dalle sue parole vorticose, dalle sue pause studiate, da come alzava gli occhi dalle pagine e ti guardava, furtivo, prima di passare all’incipit successivo. So che lo faceva solo per compiacere se stesso nell’atto di recitare, eppure io sentivo che la sua interpretazione delle parole scritte aveva su di te una presa così forte che mi faceva sentire escluso da quei vostri momenti che tu definivi di “pura amicizia letteraria”. Ne ho sofferto, non lo nascondo, e mi placavo solo perché li sapevo per te salvifici, perché mentre lui leggeva io sentivo il tuo respiro da affannato farsi quieto, osservavo le tue mani solitamente nervose darsi pace in un’immobilità sconosciuta, seguivo il profilo del tuo volto, Ines mia adorata, e lo vedevo distendersi, veleggiare su onde narrative incantate e prodigiosamente allontanarsi dal dolore in cui eravamo precipitati io e te. Solo che tu non lo sapevi. Io conoscevo e condividevo ogni anfratto della tua sofferenza, tu della mia non avevi sospetti ed è per questo che non ho mai risposto alle ventisette richieste che mi hai fatto, ma le ho annotate tutte, severamente, una per una, sul taccuino verde che mi hai regalato tu: per non rischiare di dimenticare la mia codardia e per rimarcare a me stesso la mia colpevolezza, nero su bianco, in una gelida sequenza che dal numero 1 arriva al numero 27, come in un pallottoliere spietato che a ogni pallina spostata scava solchi profondi nella mia coscienza di bugiardo.
Quando aprirai il comodino di Elena non sarà difficile per te ricostruire le tappe del baratro in cui mi sono testardamente cacciato con le mie stesse mani. Nel momento in cui le tue dita tremanti e delicate impugneranno il pomello dorato di quel piccolo cassetto, la verità ti sarà rivelata e colpirà i tuoi occhi con luce accecante. Spero che il riverbero non sia così violento da scardinare la tua incrollabile fiducia nel mondo che ti circonda.
Né la tua forza, né la tua purezza.
Troverai carte che ti faranno dubitare non solo della mia onestà – quello sarebbe il meno – ma che faranno crollare il senso delle parole che ami di più: fiducia, lealtà, amicizia. Una sola cosa ti chiedo: non dubitare mai, ti prego, dell’amore che mi lega a te, perché tutto ciò che ho fatto – l’inganno, le operazioni ai confini dell’illecito, le ripetute omissioni – l’ho fatto in nome di ciò che provo per te. Non ti chiedo di giustificarmi, né di perdonarmi. Ti chiedo di accantonare la rabbia, se puoi, e di provare ad accettarmi per quello che sono, un ragazzotto mai cresciuto, un uomo debole che in nome dell’amore ha rischiato di perdere ogni cosa bella della vita.
Non so nemmeno da dove potrei partire, Ines cara, per dipanare il filo intricato con cui ho avviluppato la tua vita racchiudendola nel mondo protetto delle nostre letture.
Da Adelmo e Hans, entrambi complici delle mie trame imbastite, del mio improvvido castello di carta velina miseramente crollato nonostante i miei sforzi di darvi solide fondamenta con la cartapesta luccicante dei ripetuti inganni? O dall’ignara Elena, testimone inconsapevole di indizi e rimandi che non ha mai saputo interpretare e che l’hanno posta di fronte a situazioni difficili che una ragazzina di quell’età non dovrebbe mai vivere? O dalla spiazzante verità, e questo ti colpirà al cuore – lo so – che gli incipit che leggevamo non erano casuali? Che ero io a governarne la sequenza in modo che ti accompagnassero gradatamente nel tuo tortuoso percorso di cure, ambulatori, foulard e parrucche?
Lo capii fin dal primo giorno in cui ti conobbi, quando, fra gli scaffali della biblioteca universitaria, mi leggesti l’incipit de Il mondo di Sofia, che i libri erano le tue scatole magiche in cui ti rifugiavi per vivere vite che non sapevi di avere o che desideravi. Fin da quando eravamo ragazzi adoravi leggere nei momenti in cui eri felice perché ammantavi della tua gioia anche i drammi che leggevi; bramavi poi, nei momenti in cui eri giù di morale, ritagliarti più tempo che potevi per la lettura, perché nel leggere le tribolazioni altrui trovavi risposte ai tuoi interrogativi esistenziali. Sei sempre stata così, Ines del mio cuore, quella che nelle pagine scritte cercava il senso di sé e spesso lo trovava. Io ti osservavo esterrefatto ammirando la tua capacità di farti assorbire da mondi sconosciuti per poi farli tuoi, rielaborandoli nei mille rivoli della sensibilità profonda che è sempre stata parte integrante del tuo essere. A ogni romanzo che leggevi incameravi una consapevolezza in più da aggiungere all’armamentario della tua vita; un bagaglio personale, mi dicevi, che mai nessuno ti avrebbe rubato.
Allora lo capisci, tesoro mio, che l’unica cosa potevo fare per aiutarti ad attraversare la via tortuosa delle tue sfinenti terapie non poteva che ruotare attorno ai libri? Capisci che leggerci vicendevolmente gli incipit di Pasternak, della Allende, di Camilleri, alternati a quelli di Pallavicini, della Holt e di Pennac, seduti sul divanetto della libreria di corso Francia, non poteva seguire una sequenza casuale? Ti rendi conto, mio tesoro, che il percorso narrativo che ho creato solo per te aveva un suo equilibrato alternarsi di gioie e di dolori, di indagini e ironie, di sfavillii e tormenti, solo per darti il tempo di assorbire gradatamente il peso insopportabile della tua malattia?
Quando fra le mani troverai le ricevute dei miei versamenti sul conto corrente di Hans, attore mancato eppur capace, o gli ordini esorbitanti alla libreria ormai fallita di Adelmo per libri mai consegnati o gli assegni scoperti per gli alimenti alla mia ex moglie per il mantenimento di Elena, non pensare che io abbia ordito una truffa. Pensami, piuttosto, come un regista disperato che ha avuto bisogno di passare da Murakami a De Luca, da Màrquez alla Christie, da Tolstoj alla Mazzantini per imbastire una sceneggiatura degna della tua vita interiore. È solo grazie ai milioni di parole da loro vergate su righe malferme se tutti quanti noi siamo usciti indenni da quei giorni pazzeschi.”
Mi è capitato di scrivere assieme a qualcuno. Ho trovato l’esperimento molto arricchente e stimolante. Spero di ripoterlo fare un giorno. 🙂
Ti auguro che quel giorno sia vicino e benvenuta fra le mie righe! 🙂
Grazie. Comunque sono un uomo (non che la cosa faccia molta differenza). 🙂
Non l’avevo capito, scusami! 😊
Figurati, fa niente! Inoltre molte volte scrivo racconti mettendomi nei panni di una donna. Non sei la prima che equivoca, tanto che sarei quasi tentato di lasciar andare… 😀 😉