La rottura si consuma a pagina 271 del secondo volume quando il confine dell’incanto murakamiano viene oltrepassato e ci si addentra in territori collosi e privi di respiro.
Bisognerebbe dividere L’assassino del Commendatore prima e dopo pagina 682 (se ho ben sommato le pagine dei due volumi).
Degna di “1q84” la prima parte, compresi gli indugi, le ripetizioni, il trascinarsi degli eventi sempre uguali a loro stessi; discendente nello stile affannoso de “La fine del mondo e il paese delle meraviglie” la seconda. Se la virata oscura e frettolosa dei capitoli finali intende essere un omaggio a Dante Alighieri, al suo Caronte e al mondo dei corpi e delle anime, mi pare che non sia un omaggio riuscito. Se invece non intende esserlo, comunque lo evoca e il paragone che vien naturale fare non regge, anzi, quasi infastidisce.
Le prime 682 pagine racchiudono l’universo di Haruki che ammiro ed è su queste che preferisco soffermarmi. Un amico, di recente, ha definito la scrittura di Murakami “piatta”. Ecco dove sta il genio di Haruki, nel riuscire a rendere fenomenale uno stile narrativo essenziale e senza scossoni. Tener inchiodato il lettore per più di 800 pagine con una scrittura piatta è un’impresa che riesce a pochi, forse solo a lui.
Non c’è ricerca nel linguaggio, né sforzi di reinventare la struttura del testo.
Non c’è artificio, né costruzione alcuna nella sua prosa; è descrizione pura, lineare, asettica.
Le viscere non emergono, gli estremi sono normalizzati, il dare equilibrio silente ad ogni forza centrifuga è la ragione estrema. La constatazione lucida è il suo fulcro.
De L’assassino del Commendatore è soprattutto questo che mi rimarrà dentro.
“Spesso non capiamo bene dove passa il confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Pensiamo che la linea di demarcazione tra ciò che esiste e ciò che non esiste sia mobile, come un frontiera che si sposta di sua volontà. A questi spostamenti dobbiamo prestare la massima attenzione. Altrimenti non capiamo più da quale parte ci troviamo.”
Mi piace il tuo essere critica nonostante tu sia un’adepta 😉
Di fronte all’evidenza anche gli adepti…
😉
la tua opinione schietta (e so quanto tu sia affezionata a Murakami) mi conforta nella decisione che avevo preso di non affrontare questo suo romanzo 🙂
ml
Non lo consiglierei, in effetti.
😊
In questo romanzo sono presenti tutti i topos del maestro:l’uomo abbandonato dalla moglie; la natura e il sovrannaturale, il mondo reale e quello parallelo costellato di strane e bizzarre creature; un pozzo, uno spazio angusto, buio, umido e claustrofobico che porta chi vi entra ad avvicinarsi a una dimensione altra. I suoi personaggi maschili hanno sempre un chè di femminile che a me fa impazzire: sono maniacalmente ordinati, la loro casa brilla di pulito, sono perfetti cuochi che scelgono con cura il cibo da comprare, lo dispongono con altrettanta cura nel frigorifero, e lo preparano come sapienti chef, sono uomini senza donne la cui presenza è secondaria, altalenante, un accidente più che una costante.
Infine le tante porte aperte e non richiuse, i tanti interrogativi la cui risposta è lasciata , se crede, al lettore.
Sono soddisfatta di questa sua ultima opera? sì e no. Sì mi piace ritrovare il suo stile, i suoi topos appunto, quel suo farti entrare nella realtà come se tu fossi lì, dentro quelle stanze, ad affettare i pomodorini a fianco del protagonista, come se quel tè lo preparassi proprio tu, come se quella casa fosse la tua casa e i gesti da lui compiuti fossero i tuoi. Molto coinvolgenti i passaggi artistici, quando il protagonista dipinge o elucubra sull’arte. E mi piace quando ti fa saltare dentro una botola trasformando in un attimo la realtà così reale e palpabile da cui fino a un attimo prima eri circondato, in una dimensione onirica che ti trasporta in un mondo che puoi solo immaginare con la fantasia dove però vivi paure e rischi veri, che devi superare realmente. E no, non mi ha convinto: quel mondo parallelo, non possiede il fascino di cui sono permeati altri suoi romanzi, soprattutto non era necessario attraversarlo per salvare la giovane amica da una situazione decisamente troppo normale, c’è qualcosa che stona, è troppa la discrepanza. Anche in questo caso Haruki promette e non mantiene, non termina il dipinto proprio come il suo protagonista, prima abbozza, poi descrive minuziosamente, ti illude e ti abbandona. Una promessa di orgasmo non goduto.
Rispetto alle sue precedenti opere, trovo questa assolutamente sottotono, ma glielo perdoniamo perché lui è Murakami Haruki.
Bella, lucida e dettagliata questa tua recensione, racchiude tutto l’universo Murakamiano facendo emergere i capisaldi della sua scrittura con le letture emotive e simbiotiche che vi attribuiamo noi adepti. Mi conforta sapere che anche tu hai percepito uno scarto, una discrepanza, una mancanza, non solo interna alla singola narrazione, ma anche rapportata ai precedenti piccoli e grandi capolavori. Lo perdoniamo
Alla National Gallery, qualche giorno fa, ho visto il quadro originale che ha ispirato Haruki. L’ho riconosciuto da lontano: una folgorazione.