“Lo sai che vorticano in aria senza una traiettoria precisa?”
“Cosa?”
“Le foglie, Rebi. Guardale, soffermati a fissare quell’acero laggiù, vedi che ogni volta che una foglia si stacca da un ramo, insegue un’onda d’aria diversa prima di precipitare al suolo?”
“Vedo. È la parabola discendente che impone loro il vento, a seconda della direzione che prende e dell’intensità con cui spira, credo.”
“Le foglie non hanno alcun potere di decidere come sarà la fine della loro storia. Non sanno quando arriverà il momento del distacco, non possono opporsi all’abbandono, né in qualche modo ribellarsi. Devono accettare tutto così, passivamente: il distacco, la parabola discendente, il casuale approdo sul terreno.”
“Dici, Gian? E se invece si rendessero conto di quando il picciolo pian piano indebolisce il suo legame col ramo? Se così fosse, avrebbero consapevolezza che il momento del distacco sta arrivando.”
“E cosa pensano secondo te in quel momento?”
“Che hanno paura di cadere.”
“O forse che è un sollievo non dover più stare attaccati a quel ramo perché in fondo, loro, non vogliono dipendere da nessuno. Oppure che non sapranno come fare, una volta cadute a terra. Si sentiranno sole e abbandonate. Sole e abbandonate.”
“Gian?”
“Che c’è, Rebi?”
“Le foglie non pensano.”
*Rebi e Gian capitolo 2
Chi può dirlo?
Solo la foglia 🍃
😁
Beh, spesso anche le donne e gli uomini e soprattutto i bambini non possono opporsi all’abbandono.
Vero, Maria, i bambini non hanno modo di proteggersi dagli abbandoni.
Son più fragili delle foglie.
Un abbraccio, mia cara.
tu, nel mio immaginario limitato e fallace, sei Rebi che Gian, ti piace fantasticare ma poi la vocina pragmatica ti avvisa: “Stè, le foglie non pensano”
🙂
ml
…perché sai che mi aiuta parlare da sola, raccontarmi storie in cui ritrovarmi.
😊
Sono d’accordo con ml.
C’è un po’ di te, Ste, sia in Rebi che in Gian.
Tensioni mentali in contrapposizione, tiranti che forzano, tendenze innate. E noi in mezzo.