Scrivere un intero romanzo sulla mestizia della vita.
Saper rendere delicata la rassegnazione.
Con scrittura esemplare raccontare l’incapacità di opporsi alle negatività, non nella moderna accezione di resilienza, bensì in un’innata indole all’accettazione passiva degli eventi avversi.
John Williams ama le parole e le fa diventare il cuore esistenziale di Stoner, letterato accademico la cui vita è priva di gioia. Ci si gode la fluidità del narrato, ma si viene presi dall’angoscia; con un filo di rabbia sottesa vien voglia di reagire a ciò che Stoner si lascia scivolare addosso, entrare nel libro e dirgli:
“Oh, allora, prendi in mano la tua vita, si o no?”
In questa frase, però, mi riconosco come in uno specchio:
“L’amore per la letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l’amore che aveva sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con orgoglio.”
E forse anche qualcun altro mi ha trovata in quello specchio.
Non fa per me, non sopporto l’ignavia.
Però se è scritto bene…
Non si tratta di ignavia, ma di inguaribile passività.
Scritto talmente bene che le pagine ti scivolano fra le mani.
eheh, per carattere mi sembra che Stoner assomigli più a me che a te.
però la frase che riporti direi che si adatta bene ad entrambi 🙂
ml
Per certi versi speculari, per altri simili. 😊
Pingback: gruppo di lettura – Stoner — righeorizzontali | l'eta' della innocenza