Se sei Edda

Le hanno dato un nome antico, non da ragazza, un vocabolo breve di sole quattro lettere e due “d” così dure nel mezzo da non lasciare spiraglio alla dolcezza.
Edda, un nome che non ha musica né grazia, pare una pietra poggiata per terra a fermare carte scritte a mano che nessuno legge più. Un appellativo da donna fatta e finita che non si addice ai suoi sedici anni, né ai suoi lunghi capelli. È così piccola di statura, Edda, che le sue coetanee potrebbero prenderla per mano e portarla a spasso come una sorellina minore, se solo volessero; ma loro non vogliono, certo che no, a lei nemmeno si avvicinano, perché fa pena, quella lì. Loro sono slanciate, longilinee, hanno nomi soavi come Sara, Matilde, Isabella, nomi che volano, lassù. Edda, invece, sempre a terra è ancorata, prigioniera di un corpo che non cresce, radici conficcate al suolo, pianta che resiste nell’argilla più dura e non c’è pioggia, vento o sole capaci di farle protendere i rami verso il cielo.
Se sei Edda non puoi essere null’altro, solo ciò che la natura non ti ha dato; anche se a guardarla bene, quella pietra, è da venature che è attraversata, slanci di colori fiammanti, geometrie di crepe, magnifiche imperfezioni.

 

 

 

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