Non mi sarei dovuto fidare. Il coordinatore aveva ragione, troppo rischioso lasciarli andare da soli. Avrei dovuto tenerli con me, ma Cecilia mi ha implorato, ha insistito lucidamente con la tenacia che la contraddistingue e Damiano, poi, ha tirato fuori quello sguardo sognante da bambino che desidera un regalo.
Non ho saputo dire di no. Per poterli tenere d’occhio con un solo sguardo avrei dovuto costringerli a fare il medesimo percorso. E invece li ho lasciati liberi, lei è scesa in golena, lui si è inerpicato sull’argine.
Non sono adatto a fare questo mestiere perché tendo ad essere accondiscendente; con le persone delicate ci vogliono cautele e rigidità che io non ho.
Da quassù, da questo ponte che attraversa il Po, muovo la pila in tutte le direzioni, lo faccio lentamente per illuminare ogni porzione di terreno, di alberi, di aria.
Un frammento di lei, un frammento di lui.
Li vedo.
Si stanno osservando, dal basso all’alto, dall’alto in basso.
E si sorridono.
Io mi rivolgo al cielo e silenziosamente ringrazio.
***Fine
Che sorpresa! Immaginavo un’evoluzione di versa e invece era l’origine della storia ad essere diversa!
Brava Ste!
Non premeditata, sai. Un finale venuto fuori così, senza pensarci. 🙂
Un racconto che sa di pulizia interiore, di chi è custode ma non è cerbero e di chi, debole, dovrebbe essere custodito e assapora una piccola libertà.
ml
Un invito alla limpidezza.
Un flebile anelito di libertà.
Proprio così, ml.
🙂
Verissimo
Concordi?
Grazie del passaggio. ☺