Agosto (il mese in cui l’estate è già finita)**

Una compagnia di ragazzini mi ha fregata. Sono venuta in questa spiaggia perché avevo voglia di stare da sola e invece mi ritrovo in compagnia di un nugolo di adolescenti pieni di vita. Non viene mai nessuno in questo ritaglio nascosto di Liguria; la caletta non è segnalata, non è semplice arrivarci, non ci si inciampa per caso. I turisti che vengono a Monterosso pensano che la spiaggia di Fegina sia l’ultima accessibile e balneabile. Oltre quella non si avventurano. Non sanno che basta oltrepassare le case che si inerpicano sulla collina per arrivare in questa baia protetta, illuminata dal sole del mattino e non da quello del pomeriggio perché la roccia, alta e frastagliata, non consente alla luce calante di proiettare su questa sabbia i propri raggi. Qualcuno osa esplorare la salita, ma quasi nessuno si accorge del viottolino diradante che porta fin qui.

Quando avevo sedici anni ci venivo con la mia compagnia del mare, di sera, al buio, ad accendere falò, a bere sciacchetrà e a cantare canzoni più vecchie di noi. La mia preferita era “Il Pescatore” di Pierangelo Bertoli. Adoravo intonare la parte femminile, quella della moglie del pescatore che canta la paura di perdere il suo uomo in mare, il desiderio per un altro uomo che la corteggia, la seduce e poi si prende gioco di lei. Marco, il mio amico pisano, con la sua voce roca da attore in erba, interpretava il pescatore, la durezza di una vita passata in mare, la voglia di lasciarsi andare nell’abbraccio forte delle onde, l’abbraccio della morte.

Quando penso a quelle sere vedo nitidamente un’immagine di me sicura, libera, gioiosa. A sedici anni ero molto più forte di quanto non lo sia ora. Sono i paradossi della vita, le regole invertite, il destino che si diverte a mescolare le tappe della mia crescita.

Stanno giocando a pallanuoto, gridano, schizzano, si divertono. Avranno più o meno quindici anni, l’età che avevo io quando mi sentivo tutt’uno con questo luogo, quando il contatto con il mare di Monterosso era capace di lenire ogni tipo di tristezza. Sono tutti maschi. Ce n’è uno che se ne sta in disparte, è sdraiato sul suo telo a pancia in giù, le spalle che poggiano sui gomiti, il viso adagiato sulle mani. Guarda i suoi amici ma è come se non li vedesse, si capisce che con la testa è altrove. Ogni tanto lancia occhiate verso di me. Ho provato a sorridergli ma dev’essere un ragazzo molto timido perché appena si accorge che lo guardo gira repentinamente il volto dall’altra parte. Chissà cosa penserà di me: una matusalemme di ventitré anni sola su una spiaggia appartata che scrive forsennatamente con una matita spezzata su un quaderno ingiallito.

Quel ragazzino è triste, di una tristezza che fa a pugni con la sua età. Non è la tristezza adolescenziale che lo sta tormentando, è qualcosa di più circoscritto, come se avesse dentro un male laconico. Ci separano almeno dieci metri di spiaggia ed io, senza sapere chi è, senza averlo guardato negli occhi, riesco a delineare l’intero contorno della sua tristezza. So che è una tristezza pesante ma so anche che è una tristezza destinata a svanire. Soffriamo della stessa malattia. La mia è cronica, la sua è passeggera.

Decido di avvicinarmi. E’ un azzardo, potrebbe anche cacciarmi via, ma mi è venuta un’idea. Non so a cosa serva, non so perché la voglio mettere in pratica, di certo so che voglio catturare la sua attenzione e per farlo mi serve una approccio originale. E’ un impulso forte quello che mi spinge verso questo ragazzino che potrebbe essere mio fratello minore, ed è un impulso ancor più forte e incontrollabile quello che mi spinge a proporgli una specie di gioco.

Questo è l’esordio:
“Ciao, posso sedermi qui vicino a te?”
“Se proprio vuoi, ok.”
“Voglio chiederti una cosa.”
“Cosa?”
“Posso trascrivere tutto quello che stiamo per dirci sul mio quaderno?”
“Perché, stiamo per dirci qualcosa?”
“Credo di si.”
“Sei una pazza?”
“Una specie.”
“Va bene.”
“Allora dammi un paio di minuti che trascrivo quello che ci siamo appena detti.”

**Dal diario di MF (segue)

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10 pensieri su “Agosto (il mese in cui l’estate è già finita)**

  1. questo diario di MF così misterioso (non è nell’elenco dei tuoi libri) m’incuriosisce.
    ma a me questo brano riporta alla mente soprattutto un racconto che avevi scritto per il nostro gioco, racconto che trattava altro ma ambientato negli stessi luoghi (lì era una specie di simbolica grotta nascosta ad occhi indiscreti) e con un’atmosfera per certi versi simile.
    ml

    • Fa parte di una raccolta di racconti, “L’osso e il blu”, dove MF è una delle tante protagoniste in nuce che diventerà perno di “Niente di Niente”. Mi piace, quando giro con i miei reading, interpretarla con la mia voce.
      Che memoria, ml! L’ambientazione è la stessa di Solo un pescatore, racconto scritto per Mimettoingioco. Sempre di Monterosso si tratta, ma dall’altra parte del paese, nel borgo vecchio.
      🙂

  2. La stagione della vita, quella che lascia la fanciullezza per incamminarsi verso l’adolescenza.
    Dovrebbe essere illuminata e gioiosa, il pendolo della vita non fa mai scoccare l’ora del rimpianto.
    Quando invece la pagina della vita viene sporcata da tendenze malinconiche, ed i sipari invece di spalancarsi sono chiusi per troppa insicurezza… troppa paura.
    Ecco che le acque agitate del tormento, diventano limacciose … imprevedibili… impenetrabili … quello che riesce ad affiorare e il desiderio di fare pace e trovare la quiete interiore.
    Stefania approdo nel tuo blog dopo tanto tempo.
    Grazie che ci sei a riempirmi di speranza e pensare al sereno ciao un bacio amica mia!

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