“Avevo solo dodici anni quando mia madre ha smesso di vivere. All’improvviso, un giorno, senza dare spiegazioni. Un male assurdo e non annunciato se l’è portata via.
A quell’età percepisci solo un grande vuoto, non ti sfiora nemmeno l’idea di cosa significhi vivere senza un genitore, non conosci le implicazioni, le conseguenze, i pezzi che ti mancheranno lungo il cammino. Crescere senza una madre è come essere già cresciuti prima. Vuol quasi dire non aver bisogno di crescere, in un istante impari quello che gli altri bambini impiegano un’intera infanzia a capire.
Mamma era bella, sapeva creare un nido ovunque, quando ero vicino a lei mi sentivo al sicuro, in pace. Mio padre è un anaffettivo, non possiede parole né gesti empatici.
E’ fatto così, ama a modo suo, nel silenzio, nel duro lavoro per mantenermi.
Ho maturato il ragionevole dubbio di essere anaffettivo anch’io.
Forse è rimasto solo il sangue dell’indifferenza paterna dentro di me; quello accogliente di mamma dev’essersi dissolto nel vento di Portoferraio.
L’unica volta che ho veramente sentito un male lancinante trafiggermi il torace è stato al primo anno di liceo. Un foglio A4 appeso sul vetro della porta della mia classe riportava l’elenco nominativo dei genitori convocati per il primo incontro con gli insegnanti. Ad ognuno dei miei compagni erano abbinati due nomi, quello della madre e quello del padre. Al mio nome era abbinato solo il nome di papà. Guardavo il foglio A4 mentre lo guardavano gli altri ragazzini e avrei voluto urlare il nome di mia madre con tutto il fiato che avevo in gola, ma sono stato zitto. Sono stato un codardo e un vigliacco perché in mezzo al tangibile imbarazzo dei miei nuovi compagni di classe, ho avuto il mio primo vero blocco emotivo.
Ho chiuso tende, finestre e porte. Ho serrato i lucchetti ed ho deciso che mai, con nessuno al mondo, avrei più parlato di mia madre e della sua morte.
L’ho rinchiusa dentro di me.
E oggi, che ho venticinque anni, lei è ancora lì, asserragliata nel mio cuore, legata da uno spesso catenaccio di ferro pesantissimo.
Sai, Francesca, non passa giorno senza che io provi quella sensazione di vuoto.
Sei la prima persona con cui ne parlo, la prima che mi fa capire l’importanza di raccontare.
Credo sia un bene.
Si, credo proprio che lo sia.”
*Niente di niente_Stefania Sabattini_selezione reading_tournée autunno 2015_fine
I agree, it’s a good thing.
I think so.
…che un po’ gli voglio bene.
…a chi lo dici Maria…
Povero Antonio, dev’essere tremendo crescere senza un genitore, la sua mamma in particolare, così dolce come la descrive…
Sta parlando con Francesca, dev’essere quella della sceglia alle 3:22, della coperta intrisa di dolore. E’ più giovane di lui (18 a 25), nascerà una storia tra questi due ragazzi?
…e chissà dove si incontreranno….
Saresti un attento lettore di “Niente di niente” e anche de “L’osso e il blu”, entrambe storie in cui bisogna incastrare i pezzi. Hai una mente predisposta per gli incastri. Grazie Andrea!