Storia di Ale nella tazzina di caffè

Il barista gli ha servito il caffè già da qualche minuto. Lui non beve, non tocca la tazzina, si limita a fissarla come se in quel liquido scuro fosse contenuta la risposta alla domanda che lo assilla.

E’ un ragazzo olivastro, poco più che ventenne, coi capelli bruni troppo lunghi e scompigliati per un viso così delicato. Quelle ciocche che gli cadono sugli occhi lo vorrebbero maledetto e ribelle, ma basta guardare la sua espressione responsabile per capire che è un bravo ragazzo.

L’interrogativo che gli circola in testa ha l’aria di essere uno dei grandi dilemmi della vita, quelli che a vent’anni non sai come affrontare e che ti inchiodano, immobile, davanti a una tazzina di caffè in un angusto bar del centro.

Il barista lo conosce, si rivolge a lui chiamandolo Ale, che forse sta per Alessandro, o Alessio, non so. Al barista pare strano che Ale non beva il caffè.

“Tutto bene Ale?”
“Non so, non c’è alternativa.”
“A cosa?”
“A questa situazione.”

Ho bevuto il mio di caffè, amaro e bollente, avvolgendo a coppa la tazzina fra le mani con un movimento contrario alla natura dell’oggetto. Non mi piace posare le labbra dove migliaia di persone prima di me le hanno posate. Non è una fobia igienista, è semplicemente un vezzo.

Ale mi guarda perché il mio gesto innaturale ha attratto la sua attenzione. Gli sorrido con quel fare materno da sorella maggiore che vorrebbe confortarlo. Se potessi, gli direi che c’è sempre un’alternativa, che quando tutte le porte sembrano chiuse, basta frugare nelle tasche per trovare, inaspettatamente, una chiave nascosta. Però non posso farlo, non si piomba nelle vite degli sconosciuti senza essere invitati.

Mentre esco dal bar penso che forse Ale non si chiama Alessandro, né Alessio, ma che il suo nome è Aleandro e che quella pelle scura proviene da un paese caldo. Magari il dilemma che lo attanaglia lo risolverà stasera, parlando via Skype con suo padre in Argentina o tramite WhatsApp con sua sorella che sta a Madrid. O forse farà una lunga chiacchierata il compagno di studi con cui condivide l’appartamento e domattina si sveglierà con la risposta giusta, nella tazzina del caffè.

Tazzina di caffè

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9 pensieri su “Storia di Ale nella tazzina di caffè

  1. Righe orizzontali ti ringrazio per la visita !
    Questo tuo racconto – anche se scritto in uno stile più ”classico” – mi riporta a qualche racconto che ho letto di V. Woolf e in cui la scrittrice inglese cercava di proiettare il suo flusso mentale su qualche personaggio osservato, costruendone una storia – soprattutto interiore – che non veniva verificata nella sua aderenza ”reale” al personaggio ( dico ”reale” anche se si tratta di finzione letteraria) oppure veniva smentita – terminato il flusso mentale proiettivo.

    • Grazie a te Renzo, sei molto gentile e oltremodo generoso. Il paragone con Virginia è lusinghiero e non mi sento all’altezza, davvero, però condivido il passaggio sulla costruzione interiore della storia. In effetti è proprio così che funziona: il confine fra ciò che si proietta di sé e ciò che realmente si percepisce è molto sottile. E anche io non sento il bisogno di verificare l’aderenza dell’immaginazione alla realtà. Faccio mia la storia che vedo e tanto mi basta. Grazie ancora, molto calzante questo tuo contributo. Stefi

  2. Ritrovo il tuo gusto per i nomi ( o meglio il gusto della co-protagonista) come se finche’ non hai stabilito quale sia il suo nome Ale rimarra’ monco, piu’ per quello che che per il suo problema esistenziale. Piaciuto il tratteggio
    ml
    (battaglia persa trovare un tratto di bordo immacolato, bene che vada ci sono passate meno labbra)

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