Ha la forma di un serpente a tre teste il circuito giapponese di Suzuka. Stretto, lungo, affusolato, pare un rettile avvitato su sé stesso, un groviglio sinuoso, una sfida per i piloti. E’ il tracciato delle curve, quello in cui i sorpassi sono azzardi incoscienti e la bravura di chi è al volante può sopperire alle mancanze della vettura. E’ il circuito della guida vera, tecnica e libera, quello che tutti i piloti amano.
Natura rigogliosa, alberi ancora verdissimi, prati morbidi che emanano luce. Se non fosse che anche in Giappone è arrivato l’autunno, verrebbe da pensare ad una radiosa domenica di primavera.
Le barriere protettive hanno i colori della bandiera italiana. Chilometri e chilometri d’asfalto lambiti da strisce tricolori; uno sorta di omaggio all’Italia, forse casuale, forse voluto, non so. Di cappellini e magliette ferrariste ce ne sono a migliaia sulle tribune gremite, macchie rosse rampanti che non smettono di credere nel cavallino. In un contesto così, ci si sente un po’ a casa.
Efficienza è la parola d’ordine su questo tracciato orientale in cui dal nulla sbucano, furtive, piccole squadre di nipponici commissari di percorso con in mano estintori, spazzoloni d’asfalto, motorini per caricare i piloti più sfortunati. Piccole equipe di operosi giapponesi pronti a salvare chiunque.
Non ce l’hanno fatta, però, a salvare Webber da Vettel, da quella dubbia strategia di gara che gli ha imposto tre soste invece di due, dagli ordini di scuderia che lo hanno privato della vittoria che meritava, stavolta davvero e molto più di Seb.
Sul podio Vettel, Webber e Grosjean. Fernando e Kimi subito dopo. Col corpo sono lì, ma la testa di tutti, anche di noi ferraristi, è già a Melbourne 2014.
Chissà quante radiazioni! Alla larga dal Giappone!
E’ un Paese che mi affascina, io ci vorrei andare.