Vivo sul confine fra paese e campagna. Dietro casa una landa d’erba e di fieno accompagna la vista all’orizzonte.
Fra gli alberi e le cascine che si stagliano a nord ovest vive un gallo.
Un gallo anarchico che canta col buio.
Nella stagione fredda e in quelle di mezzo mi dimentico della sua esistenza perché le finestre sono chiuse e non lo sento cantare. Ma in estate, quando la vita è aperta e i contatti col mondo si moltiplicano, la voce del gallo anarchico riecheggia nella case. Non all’alba, come sarebbe logico aspettarsi, ma nel cuore della notte, quando tutto è silenzio e solo i grilli e le cicale friniscono debolmente. E’ un canto ostinato il suo, un lamento incessante che ferisce il silenzio del riposo notturno.
Mi avevano insegnato che una regola naturale induce il gallo a cantare quando vede i primi raggi del sole. Una sorta di riflesso incondizionato, un automatismo infallibile, un’abitudine immutabile nei secoli dei secoli.
E invece, documentandomi nel web, ho scoperto che ci sono galli che hanno un orologio interno più potente della regola naturale, che cantano semplicemente quando gli va perché intonando fuori dal coro riescono ad affermare il loro ruolo sociale.
Mi ricorda qualcosa.
Una anomalia che anch’io ho riscontrato. Il canto del gallo in ore non convenzionali: mattino tardi, pomeriggio. Sembra il mio depuratore tarato ad controllo per lavorare di notte ma che poi per qualche singhiozzo cibernetico lo senti attivarsi nelle ore più disparate. Natura e tecnologia hanno a volte “logiche” simili.
Cara Stefania singolare la storia del gallo
In questo teatro della realtà mi viene da scrivere…
“meditate gente meditate!…”
Brava Stefy!
Ciao!