Immaginate, se riuscite, di non poter muovere il vostro corpo, solo due dita della mano destra o di quella sinistra, scegliete voi. Immaginate poi che le vostre capacità intellettive siano intatte, che tutto ciò che pensate, desiderate, detestate rimanga intrappolato nella vostra mente perché il corpo è incapace di tradurre i pensieri in azioni concrete. Il vostro corpo può solo strisciare.
Immaginate poi che vostro nonno sia un dirigente del Partito comunista spagnolo rifugiato in Francia e vostra madre una straniera dalla pelle scura, donna coraggiosa e senza ambasciata, capitata a Mosca negli anni della primavera di Praga. Immaginate che a un anno e mezzo di vita il regime vi sottragga all’amore di vostra madre e vi costringa a condurre la vostra esistenza in un lungo e penoso strisciare fra decine di orfanatrofi russi.
Se siete riusciti ad immaginare tutto ciò, allora potete capire perché il bianco è il buio ed il nero la luce.
Rubén Gallego nasce a Mosca alla fine degli anni sessanta. Affetto da una grave forma di paralisi cerebrale è in grado di pensare, ragionare, comprendere, inventare, ma non può muoversi. Con lucidità tagliente racconta la sua infanzia atroce, le angherie e i soprusi, le sofferenze insopportabili, la forza e la bontà dei legami inscindibili nati fra i letti degli orfanatrofi.
Il bianco è il colore dell’impotenza e della dannazione, dice Gallego, il colore del soffitto d’ospedale e delle lenzuola, il nulla della vita d’orfanatrofio che scorre all’infinito.
Il nero, invece, è il colore della lotta e della speranza. Il colore del cielo notturno, lo sfondo fermo e nitido dei sogni, delle brevi pause fra gli intervalli diurni, bianchi e sterminati, delle infermità fisiche. E’ il colore del mondo dietro le palpebre chiuse, dice Rubén nel capitolo finale di questo piccolo e grandioso gioiello letterario.
La mia amica Alessandra dice che Bianco su nero è il suo libro del cuore. E’ con il cuore che la ringrazio per avermelo consigliato perché Rubén ha qualcosa da insegnare a chiunque ami scrivere:
E quando passerò a mia volta in mezzo alle schiere di affabili, asettici manichini in camice bianco e arriverò finalmente al mio capolinea, alla mia personale notte eterna, dietro di me resteranno soltanto lettere dell’alfabeto. Le mie lettere, le mie lettere nere su sfondo bianco. Lo spero.